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Con le poesiole di Toti Scialoja sui topini nonsense e meccaniche sonore

Alfonso Berardinelli sabato 18 aprile 2009
I versi di Toti Scialoja cacciano via la noia, chissà come farà. Dopo aver letto Versi del senso perso (Einaudi), di questo poeta che non sbaglia un verso, scusate le rime, ricordo le ultime e ho scordato le prime. Con Scialoja c'è da diventare matti: si comincia con un topo e si finisce con i ratti. Basta: sono già alla terza frase e non riesco a liberarmi della musica fonemica, ipnotica, dispotica, del libro che dovrei recensire: ma non so cosa dire. Mi aiuta lo stesso autore a dire qualcosa, questa volta in prosa. Paolo Mauri, nella sua introduzione, cita alcune righe che Scialoja scrisse per presentare in copertina il suo libro del 1971 Amato topino mio: «La struttura di queste poesie nasce da un metodo puramente linguistico automatico, al modo dello scioglilingua, della filastrocca e del nonsense. Gioco fonemico che i bambini intendono d'istinto, che eccita la loro curiosità».
Le poesie di Scialoja sono in effetti minimi meccanismi verbali, minuscole trappole sonore dentro cui la nostra mente acustica cade incantata. Un esempio: «Topo, topo, / senza scopo, / dopo te cosa vien dopo?» È la percussione sonora, è la ripetizione delle sillabe uguali a ipnotizzare. Quel topo, già al primo versicolo torna due volte. Perché! Come saperlo, se quel topo è senza scopo? E' un topo svincolato dal prima e dal dopo. Da ogni legame, significato e contesto. E' un topo assoluto. Dopo di lui che cosa ci sarà? E' evidente che non ci sarà niente. Queste poesie hanno l'effetto dei koan nel buddismo Zen: fanno uscire la mente da se stessa, o meglio dalla sua meccanica razionale, in virtù di un'opposta meccanica sonora. Dalle sillabe di una parola Scialoja fa uscire mondi che hanno la durata e il peso di una bolla di sapone. Sto scrivendo nell'alto Lazio, a Tuscania, ex Etruria, non posso che citare perciò questo micro-racconto: «Ieri, al crepuscolo, tra il lusco e il brusco, / vidi un minuscolo topino etrusco». Leggete Scialoja. Seppure ci tenete, non saprete più chi siete.