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Come un figlio

Marina Corradi venerdì 15 aprile 2022
Non fosse per la divisa mimetica, il ragazzo che scende da un bus bianco sembrerebbe un liceale all'arrivo da una gita scolastica. Ha il viso infantile, un accenno di barba, gli occhi da ragazzino. Non so, se ha compiuto i 18 anni. Ma è un marine della 36esima Brigata ucraina, per oltre un mese a disperata difesa di Mariupol. In centinaia ieri si sono arresi, dopo settimane di lotta feroce nei sotterranei dell'acciaieria della città. Il bus, è quello dei prigionieri. Il cameraman di una tv russa riprende, compiaciuto. Il ragazzo, il piede sul gradino, alza la testa e vede la telecamera. Allora si blocca, poi china la testa: lo vedranno sconfitto, sua madre, la sua ragazza.
Avrà seguito suo padre, i fratelli. Ha combattuto finché ha potuto. Senza più munizioni, senza viveri, si è arreso. Da Mosca avevano detto: “Quei là nei sotterranei di Mariupol, li staneremo” – come si stanano i topi. Se anche verrà liberato dai russi, non ci sarà qualcuno che gli sussurrerà: “Vigliacco?” Avrà il coraggio di tornare a casa? Mi si deposita negli occhi, così che la vedo ancora al risveglio, la sua faccia adolescente. (Un figlio, cui gridi al mattino: forza, che fai tardi a scuola).
Le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti», ha detto Tonino Bello e ci ha ricordato papa Francesco. Guardiamoli bene quei volti, ucraini, russi, vincitori e vinti. Finché li guardiamo come uomini sono ancora uomini, per noi.