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Ciò che so sognare

Aldo Nove giovedì 4 giugno 2020
Ho un sogno. Un grande sogno. Perché ogni giorno di più verifico che ciò che ha mutato radicalmente il mondo non è stato il crollo del muro di Berlino nel 1989 ma, qualche anno prima, la diffusione dei telefoni portatili. All'inizio erano immensi, delle sorti di mattoni con tanto di lunga antenna e avevano la funzione, appunto, di telefoni, oltre a quella estremamente comoda dei messaggi. Nel giro di due decenni, affiancandosi ad essi i tablet, sono diventati “la cosa” in grado di supplire ad ogni altra, almeno a livello d'immaginario (certo non friggono le uova, ma hanno centinaia di applicazioni su come farlo), una sorta di voragine onnicomprensiva in grado di detenere il nostro bene più prezioso, che è, in questo transito terreno, il tempo (“Il male è una perdita di tempo”, ebbe a dire Sant'Agostino). Ho ricordi meravigliosi di quando da bambino passavo intere settimane di vacanza in Sardegna per poi parlare, il sabato sera, con 50 gettoni e in una cabina telefonica irrespirabile, con i miei. Intere giornate sentendo e vedendo solo persone dal vivo. Vi prego, torniamo ad allora. Oppure compriamoci un telefono dei primi anni Novanta: telefonate e messaggi. Si trovano a 30 euro. Torniamo a vivere.