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CI VUOLE UN GRAN CORAGGIO

Marina Terragni venerdì 26 maggio 2017
Pubblico su Facebook il filmato di un incredibile e interminabile sguardo tra una ragazza e il suo figlietto di pochi mesi. Il piccolo tiene gli occhi fissi negli occhi della mamma, che gioca a sfuggirgli. Non batte le palpebre, il fiato sospeso. Estatico come un veggente.
True Love, vero amore, gli do questo titolo. Ricordo bene quello sguardo, la madre di tutti gli sguardi. Ho una foto, da qualche parte, io e il mio bambino di poche settimane ancora confusi l'uno nell'altra.
«È come mi guarda il mio cane» commenta qualcuna. Conosco bene anche questo sguardo. Il pet che cerca i tuoi occhi per stabilire un contatto empatico. Per capire che intenzioni hai, se è il momento del giretto o del pisolino. Fantastico meccanismo di contatto interspecifico. Però, obietto, no, non è la stessa cosa. Segue dibattito alquanto agitato. È uguale! No, non lo è!
Finché una sbotta: «Beh, allora lo dico io. Non me ne vogliano le donne che non hanno avuto figli, ma lo sguardo che lega il bambino alla mamma che lo allatta o che gli parla è qualcosa di unico in natura. Ecco l'ho detto. Sparatemi pure. Odio il politicamente corretto ad ogni costo».
A quanto pare oggi serve un gran coraggio per dire ciò che è stato sempre dicibile. Per esempio, che la creatura che partorisci è diversa da un cane o da un gatto, sia pure amatissimi. A questo punto siamo.