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Caronia rimembra l'ultima estate di Moro

Cesare Cavalleri mercoledì 13 agosto 2008
Estate 1977. Lo scrittore Sabino Caronia (che, a quel tempo, probabilmente non era ancora sicuro del proprio futuro di scrittore) trascorre le vacanze a Terracina e, lungo la battigia, vede Aldo Moro che cammina assorto a passo svelto, con una guardia del corpo che gli trotterella dietro, nel pantaloncini del quale, troppo larghi, si intuisce che ballonzola una pistola. Fermo immagine. Da quell'incontro fortuito, senza dialogo, prende l'avvio una retrospettiva esistenziale che è bilancio di vita per lo scrittore e per tutta la sua generazione. Quel bilancio è consegnato con disarmante sincerità e con percuziente (usiamo questo aggettivo di conio moroteo) finezza psicologica, in un piccolo libro, L'ultima estate di Moro, pubblicato da Schena Editore (Fasano 2008, pp. 104, euro 13). Moro amava il buen retiro di Terracina, nella modesta villetta di mattoni rossi dove si riposava con la famiglia, attento ai giochi del nipotino Luca, teneramente amato. Ci sono luoghi magici, e Terracina - terra dei Volsci e delle guerre sannitiche - è fra questi, dominata com'è, alto sul colle, dal tempio di Giove Anxurus, il dio fanciullo cantato da Virgilio (àneu xurôu, senza rasoio, imberbe), a cui i devoti offrivano in voto i crepundia, i giocattolini di piombo dei bambini. Caronia - saggista e giornalista, anche dell'Osservatore romano - non fa un'analisi politica dello statista Aldo Moro, né della sua tragica fine. Si affaccia al mistero dell'uomo cogliendo da stralci delle sue lettere durante la prigionia la cogenza degli affetti familiari, e l'indomita fede cristiana, con la testamentaria citazione della Lettera ai Colossesi: «Ora io gioisco nelle mie presenti sofferenze e completo in me quel che manca alla passione di Cristo». Moro che contempla lungamente il mare, Moro felice di solcare le onde sulla barca dell'on. Cervone. Che cosa cercava di leggere nei suoi giovani carcerieri incapucciati, lui che in un discorso del 21 novembre 1968, scritto proprio a Terracina e intitolato Una politica per i tempi nuovi, aveva creduto di intuire i fermenti positivi del '68, di cogliere le ragioni dei giovani, di penetrare il segreto delle loro vite sospese? E Caronia ripercorre anche il proprio '68, vissuto da giovane sindacalista, poi professore a Perugia e in Sardegna, alla Maddalena («isola nell'isola»), sorretto dall'amore della moglie Adriana. Per una strana coincidenza, l'assassinio di Moro coincise temporalmente con la morte di Marco, il migliore amico dello scrittore, falciato in un incidente stradale. Dolori, speranze, pensieri privati si stagliano sullo sfondo enigmatico di una storia che in Moro legge il suo straziante emblema. Moro, osserva Caronia, era «nato nel giorno dell'equinozio d'autunno e forse anche perciò destinato a rimanere sospeso tra due mondi. Era il signore degli equinozi, dei giorni sottratti al triste divenire in cui il tempo e l'eternità si congiungono». Moro conosceva il mito della barca del sole: «Aveva letto che vi era un solo momento per la partenza verso l'aldilà: quando il sole calante, il giorno dell'equinozio, stava per toccare l'orizzonte e mandava una scia di luce sul mare. Allora la barchetta magica, andando nella scia di luce, doveva raggiungerlo prima che calasse in mare e passare attraverso infilandosi dal tempo all'eternità». La scrittura di Sabino Caronia è netta e al contempo sognante. Non a caso Vincenzo Cardarelli è fra i suoi Lari, e la Terracina di Caronia ha più di un nesso con il territorio e i miti del poeta di Tarquinia.
Credo che le recensioni più utili siano quelle che riguardano libri di non facilissima reperibilità.
L'invito, pertanto, è di consultare il sito www.schenaeditore.com.