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Caproni-Sereni, amici di lettere per una poesia contro il brutto

Cesare Cavalleri mercoledì 7 ottobre 2020
Davvero una bellissima amicizia quella tra Giorgio Caproni e Vittorio Sereni quale risulta dal loro «Carteggio. 1947–1983) pubblicato da Olschki (Firenze, pp. 224, euro 25). Entrambi poeti della Terza generazione, secondo la classifica per decenni anagrafici di Oreste Macrì (la Prima comprende, fra gli altri, Saba, Campana, Cardarelli, Ungaretti; la Seconda allinea Montale, Solmi, Betocchi, Quasimodo; la Terza, con Caproni e Sereni, anche Penna, Sinisgalli, Gatto, Bertolucci, Luzi; poi, secondo Macrì, più nulla, con accese polemiche). Quasi coetanei, Caproni 7 gennaio 1912 (morirà nel 1990), Sereni 27 luglio 1913 (1983), potevano sentirsi rivali e invece dalle lettere appaiono sinceramente amici e ammiratori, un'amicizia tutta letteraria, la loro, perché si frequentarono pochissimo (qualche convegno, le riunioni del Premio Strega), Sereni scriveva da Milano, Caproni dall'odiosamata capitale. Reciproche recensioni sulle riviste letterarie (che nostalgia della gloriosa «Fiera letteraria») rare ma intense confidenze personali. La curatrice del volume, Giuliana Di Febo Severo, nel centinaio di pagine introduttive, evidenzia quattro temi: Le fasi di un'amicizia e i libri dell'altro; i luoghi dei poeti (Genova e Livorno per Caproni; Milano e Luino per Sereni); I lavori di traduzione (entrambi tradussero René Char); Il secondo mestiere che per Caproni fu l'insegnamento come maestro elementare, mentre Sereni diventerà direttore dell'Ufficio Stampa Pirelli, per poi passare, nel 1958, alla Mondadori come direttore della Sezione Libri. Non si pensi che quest'ultima sia stata una posizione di troppo potere: un esempio significativo è la risposta di Sereni alla lettera del 3 ottobre 1975, in cui Caproni delicatamente auspicava che le poesie di Silvio Ramat venissero accolte nello «Specchio» mondadoriano: «Come potrei seriamente tentare d'imporre un libro di Ramat e al tempo stesso impegnarmi, almeno moralmente, con lui? È vero, le eccezion ci sono sempre, ma se guardi attentamente le uscite nello “Specchio” di questi ultimi anni, vedrai che riguardano libri imprevisti di autori longevi: Palazzeschi, Moretti, Valeri. È una situazione drammatica per cui, se improvvisamente Alfonso Gatto, tanto per fare un nome, manda un nuovo libro, bisogna scegliere tra il far torto ad altri più giovani o meno famosi che aspettano pazientemente, e la perdita dell'autore». Così andava, e va, l'editoria. Molto importante, e giustamente valorizzata dalla curatrice, la lettera di Caproni del 31 luglio 1956. Sereni gli aveva annunciato una sua ripresa poetica, dopo un decennio di silenzio dal «Diario di Algeria». E Caproni: «Che cosa sia la tua poesia nel cuore di noi lo sappiamo soltanto noi. E ciò che farai sarà un “rimedio” (la poesia è sempre un rimedio) non soltanto per te, caro Vittorio. È tanto che aspettiamo il ritorno di un poco di poesia, fra tanti esperimenti. Ora sono così impaziente di leggere: ma chissà quando e dove pubblicherai». È un suggerimento che giro i lettori: di fronte alle tante brutture che ci circondano, perché non applicare convintamente il “rimedio” di un poco di poesia?