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Canta Napoli e intanto Roma piange

Italo Cucci mercoledì 2 dicembre 2015
Vedo che il Campionato si sta riabilitando, almeno agli occhi di coloro che, soprattutto grazie alla tivù, si son convinti nel tempo che l'erba del vicino sia sempre più verde e la palla che vi rotola e le scarpette che la calpestano siano più fascinose. Proviamo a togliere di mezzo – giusto per dire – Messi, Suarez, Neymar e l'imbronciato Ronaldo e vedrete che il calcio del Bel Paese non ha motivo di sentirsi minore. Napoli e Inter, con una partita degna del passato, hanno offerto una prova eccellente dal punto di vista agonistico ma soprattutto quelle espressioni tattiche che altrove mancano. Questo spiega perché in Italia gli allenatori abbiano un peso superiore e vengano spesso chiamati all'estero per rinverdire squadre appassite. È successo al migliore, Ancelotti, ora rimpianto a Madrid; succede al più sottovalutato, Ranieri, che sta dando lezioni agli inglesi con il glorioso eppur modesto Leicester City e non solo grazie ai gol dell'ex dilettante Jamie Vardy (a segno 14 volte in 11 partite su 11, come seppe fare in Italia Batistuta a Firenze proprio agli ordini di Ranieri) ma per l'applicazione di due principi fondamentali: sapienza tattica e preparazione fisica. La sfida di Napoli ha “santificato” Sarri, che non è solo un cultore del gioco aiutato dalla fantasia, dunque non un irriducibile integralista sacchiano e anzi un correttore di se stesso, ma anche un lavoratore alla Capello, capace di introdurre a Castelvolturno la religione della fatica senza peraltro affliggere i pedatori, anzi esaltandoli con un gioco divertente e con le vittorie gratificanti servite, ad esempio, a ricostruire un bomber di rara qualità come Higuain, oggi sorridente, tollerante, servizievole, solidale col resto della banda, ieri afflitto dalle incertezze e dalla svogliatezza di Benitez che ormai guidava il Napoli come un'auto da rottamare. Cito Capello non a caso perché dedicai una nota sulle virtù di Don Fabio a Rudi Garcia, spiegandogli come fosse possibile conquistare uno scudetto a Roma. Se avesse avuto l'umiltà di continuare ad apprendere calcio costi' dopo averlo studiato in Francia; se avesse evitato, una volta italianizzatosi nell'arte della pedata, di romanizzarsi, ovvero di farsi contagiare da tutto ciò che nella Capitale nuoce alla Roma (molto più che alla Lazio), ovvero la popolarità presto cangiante in pubblico ludibrio, l'entusiasmo che crolla in depressione, la retorica scemante in barzelletta, l'ironia in dileggio, come ieri l'offerta ultrà di carote ai “conigli” sconfitti dalla provinciale di lusso Atalanta, guidata da Edy Reja, versione “moderata” di Capello, col quale è cresciuto da giocatore senza copiarne ambizione, cinismo e carisma, rivelandosi Maestro a settant'anni. Poteva essere una sfida al sole, fra Roma e Napoli, e non è detto che le cure di Sabatini – anche drastiche – non guariscano la Magica; nel frattempo l'avversaria da battere è l'Inter, la faccia antica del pallone nostrano, che al momento ha più muscoli che idee. In attesa della Juve di Allegri, il tecnico che ogni tanto dorme, come Omero, ed è, secondo formula militare, rivedibile in caso di guerra.