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Calciomercato Il detto futuro: “chi deprezza compera”

Italo Cucci martedì 7 aprile 2020
Tutte le imprese cercano di sopravvivere al Coronavirus. L'impresa calcio lo fa a modo suo, titillando con i media la curiosità degli appassionati divisi fra tivú, radio e giornali per il mercato che verrà. Nainggolan tornerà all'Inter? Icardi andrà alla Juve ? (E Wanda Nara?) Da anni i giornali fanno il mercato cosí, con il punto interrogativo, alternativa al pendolino che procuró immensa popolarità al primo banditore, Maurizio Mosca, ricordato in questi giorni (10 anni dalla morte): rimpianto, perchè era ricco d'ironia e ci divertiva; scherzava e ogni tanto ci prendeva; i suoi rispettabili eredi sembrano tutti del “Soleventiquattr'ore” ma non ci prendono quasi mai. I club, profittando della presunta affidabilità dei mediatori, riescono davvero a incassare cifre enormi e ingiustificate che vanno a nutrire la nuova classifica del gioco del calcio che non contempla vittorie, meriti tecnici ma il Fatturato. Come dire: il mio fatturato è meglio del tuo. Oppure – più spesso – non posso competere con certi fatturati. Sapete di chi parlo. Esistono poi dirigenti amministrativi– chiamateli anche Ceo – che si reclamizzano attraverso la classifica delle plusvalenze. Spesso truffaldine.
Il Coronavirus ha messo in crisi economica anche il calcio. La Gazzetta di ieri ha dedicato la sua vetrina al Deprezzamento, male di stagione (virale) che definirei crollo in Borsa, presentando la Top Ten dei Deprezzati, tra cui Modric da 30 a 20 (finalmente pronto per l'Inter anche se Moratti vorrebbe avere Messi). Proverbio del giorno: chi deprezza compera. Questo è il mercato 20/21, bellezza. Roba da strapparsi le vesti e invocare (vedrete) soccorsi di Stato. Io suggerirei altra cerimonia luttuosa con accompagnamento di prefiche piangenti: cospargersi il capo di cenere. Perché il crollo vero o presumibile è semplicemente un passo verso la realtà e il deprezzamento è il più delle volte la riduzione del visto di certi calciatori a un valore equo. Ma poi, di che valori parliamo? Spesso e volentieri si dimentica che il valore di un atleta è tecnico e etico insieme; che i prodotti della riffa calciomercato raramente corrispondono alla resa sul campo. Che le squadre di 20/30 giocatori godono di una valutazione da business e basta. Tant'è vero che si è allargato a quattro il numero dei club ammessi alla Champions per far soldi. Non per la gloria. Come succede quando si esce da una guerra, anche dopo il Coronavirus ci s'aspetta che la tragedia lasci non solo una speranza di ripresa ma anche – e soprattutto– una certezza di rinnovamento totale in chiave etica e sostanziale: passata è la tempesta, odo augelli far festa...ecco il sereno: bilanci sani per ricominciare. Più dai valori veri che dal prezzo. E con un occhio – mi raccomando – ai club più deboli. La pandemia ha creato panico e smarrimento anche fra chi dovrebbe curare i valori sociali del Paese, dedicandosi in particolare a chi ha subito un deprezzamento che vale disprezzo. Bello lo slogan «Io resto a casa», scelta globale che ribattezza il metro “distanza sociale” ma in realtà riporta alle antiche disparità esistenziali fra ricchi nascosti in ville e megappartamenti e famiglie di poveri spesso ammucchiate in miniappartamenti. Questa è solo ingiustizia, bellezza.