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“Boss in incognito” ma poco realistico

Andrea Fagioli giovedì 2 marzo 2017
Èun gran momento per Nicola Savino: oltre a Quelli che il calcio la domenica su Rai 2, ha da poco condotto l'appuntamento quotidiano su Rai 1 del Dopofestival a ruota del Sanremo. Nel frattempo, eccolo ogni martedì (ad eccezione appunto della settimana del Festival) in prima serata, ancora su Rai 2, con il Boss in incognito, che sta per chiudere la quarta stagione dopo le prime due condotte da Costantino della Gherardesca e la terza da Flavio Insinna. Al conduttore non tocca un ruolo di primissimo piano, ma dà comunque un'impronta nel collegare e illustrare i vari momenti di un docu-reality in cui il titolare di un'azienda si traveste assumendo un'identità fittizia e va per una settimana a lavorare in mezzo ai propri dipendenti seguito dalle telecamere con la scusa di un nuovo gioco televisivo sul lavoro. L'ultimo Boss in incognito, martedì scorso, è stato Pierluigi Zamò, proprietario della Ilcam (la più grande azienda europea di ante e accessori per mobili), protagonista di una serata in cui si è pianto più che a C'è posta per te. Però, se siamo riusciti a trattenere le lacrime, senza gli occhi appannati, abbiamo notato tutte le forzature del caso. È vero che il programma si annuncia come “fabbrica di emozioni”, ma se prendiamo a esempio la puntata in questione siamo a livello di libro Cuore esasperato: si è pianto per una figlia morta a dodici anni ed è più che comprensibile; si è pianto per una moglie affetta da sclerosi multipla ed è altrettanto comprensibile; si è pianto perché non si può più pattinare ed è meno comprensibile. In ogni caso si è pianto sempre. E l'imprenditore, che a sua volta si è emozionato, ha premiato tutti con assegni e regali. La prima forzatura è ovvio sta nella presenza delle telecamere. I dipendenti non sanno di lavorare con il boss, ma sanno comunque di parlare e agire in televisione. Per cui, addio spontaneità: il docu-reality diventa un finto docu-reality. In questa edizione, per di più, come detto, appare forzato il taglio buonista, tanto da rischiare di rendere meno credibile l'aspetto più importante di un'operazione del genere, ovvero il mettere in scena persone che amano il proprio lavoro, che nonostante le difficoltà riescono a vedere il lato positivo delle cose e a vincere le piccole e grandi sfide quotidiane, con coraggio e determinazione. È un peccato perdere un'occasione del genere.