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Benjamin e Debenedetti, geniali critici ma bocciati ai concorsi universitari

Alfonso Berardinelli sabato 5 maggio 2012
In queste ultime settimane gli universitari si stanno confrontando ansiosamente con se stessi. Chi giudicherà il valore delle loro ricerche? Quali saranno i criteri giusti? Se ne è parlato su diversi giornali. Sono uscito dall'università senza un perché (non uno solo) da più di quindici anni. Non ne so più molto, ma anche dall'interno ci capivo poco. La questione di chi e come giudica la produzione intellettuale dei propri colleghi è però interessantissima. Da un lato è bene che i criteri di giudizio siano trasparenti per evitare imbrogli. Dall'altro una formalizzazione aprioristica del metodo di giudizio rischia di essere impossibile o ridicola. Quelli che si sentono importanti perché pubblicano con grandi editori si mettano l'anima in pace. Ho sul tavolo due libri che fanno dubitare. Uno è Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo di Guido Calogero, uno dei nostri filosofi più colti e onesti: il libro uscì nel 1968 per le Edizioni dell'Ateneo di Roma e nel 2001 nelle Edizioni Diabasis di Reggio Emilia. Chi se ne sarà accorto? È stato poi ripubblicato ora un libro giustamente famoso come Classicismo e illuminismo di Sebastiano Timpanaro: uscì nel 1965 da Nistri Lischi e ora viene riproposto da Le Lettere, editori intelligenti ma non potenti e poco mondani. Che cosa concludere, se si può concludere? Almeno una considerazione viene in mente: quando c'è bisogno di inventarsi dei criteri da pallottoliere per calcolare il valore dei prodotti della ricerca e dell'alta cultura (almeno nominalmente alta) vuol dire che l'intelligenza onesta (non ce n'è un'altra) non abita più fra coloro che la società delega a coltivarla. Il fenomeno tuttavia non è nuovo. Qualunque letterato sa che due dei più geniali critici del Novecento, Walter Benjamin e Giacomo Debenedetti, furono bocciati a concorsi universitari. Non tutti i bocciati sono geniali. Ma due casi come quelli restano nella memoria.