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Attraverso i vicoli di Volterra un'idea per ricostruire la nuova Italia

Maria Romana De Gasperi sabato 21 giugno 2014
«Non bisogna aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia». Sono parole di Gandhi. Mai così utili come al nostro tempo tanto disturbato da tempeste familiari, civili, politiche o più semplicemente umane. Ognuno di noi dovrebbe seguirne il principio che le ha ispirate: non permettere che la tempesta abbia ragione di noi, ma impegnarsi per trovare la strada migliore. Questo è stato il tema di un incontro a Volterra, proposto dal Circolo culturale «Il Centro», sulla ricostruzione dell'Italia e la costruzione dell'Europa. Alla presenza del vescovo, monsignor Silvani, del presidente della Provincia di Pisa e del sindaco si è svolto un interessante convegno. I conferenzieri avrebbero meritato una più folta presenza di pubblico, ma come si fa a chiedere di restare chiusi in una sala quando fuori il sole fa rivivere i meravigliosi palazzi di questa antica e splendida città? La porta dell'Arco etrusco, potente e di una maestosa bellezza immette nella rampa di via di Castello fino al punto più elevato dell'acropoli. Mura medioevali chiudono in un ampio abbraccio chiese, musei, palazzi rinascimentali e la cattedrale con la facciata di Nicola Pisano del 1254. Attraversare le sue navate è come vivere nei secoli passati quando il condurre la città e servire la Chiesa erano ragioni di vita. Uomini d'arte come Benozzo Gozzoli, il Pomarancio, il Domenichino vi hanno lasciato opere di pregio. Non c'è tempo per vedere ogni cosa, ma non si può non fermarsi dinanzi a una grande deposizione in legno policromo del 1228, opera romanica, drammatica nella forma del gruppo e conosciuta in tutto il mondo. E mentre nella sala accanto si parla di costruire un'Europa più valida, più vicina alla gente, interessata a non perdere ciò che è già stato conquistato, fuori, nel sole la storia ci ricorda il lavoro, l'impegno politico e culturale nel lungo cammino di progresso che oggi possiamo conservare con devozione, ma che ci chiede con la stessa voce di andare avanti sulla strada nuova. I negozi offrono ceramiche e splendidi oggetti di alabastro delle loro cave. Alabastro: né pietra, né vetro, di una trasparenza luminosa che porta in sé il ricordo di una società antica già amante dell'arte. Poi c'è sempre un tramonto e allora nel magico incanto di questa città me ne vado portando con me la statuetta etrusca, in bronzo, tanto allungata nelle sue forme che porta il nome di «ombra della sera». E ripeto piano le parole della poetessa Iva: «Mi si affianca un'ombra, era un uomo o era un dio?».