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Alla ricerca di donne erotiche e materne

Mariolina Ceriotti Migliarese giovedì 11 aprile 2019
Sfogliando l'inserto "Liberi tutti" del Corriere della sera, ho letto questa settimana l'intervista ad una donna molto interessante: Amalia Ercoli Finzi, 82 anni, prima donna italiana laureata in ingegneria aeronautica e scienziata di fama internazionale. Quello che soprattutto mi ha colpito è che, diversamente da altre donne di successo, la professoressa Finzi è riuscita a tenere insieme una professione così impegnativa con una famiglia altrettanto impegnativa: cinque figli (quattro maschi e una femmina) nati da un matrimonio che è stato capace di superare le fatiche del tempo. Nell'intervista traspare una donna serena e vitale ("vulcanica e luminosa" la definisce l'intervistatrice), che sembra essere riuscita ad esprimere nella sua vita entrambe le anime del femminile: quelle che in uno dei miei libri ho chiamato "l'erotico e il materno", due polarità altrettanto importanti, che spesso faticano a trovare tra loro il giusto equilibrio.
Il "materno" deriva dal dato fondante di un corpo fatto per generare all'interno di sé, e dunque pre-disposto all'accoglienza; da qui hanno origine, in tutte le donne che ne prendono consapevolezza, quelle potenzialità specifiche che le rendono particolarmente capaci di avere a cuore la persona dell'altro.
"Materna" non è una parola sottrattiva, imprigionante o sacrificale, ma al contrario, se ben interpretata, costituisce un motore potente per la creatività del femminile. La donna che incontra questa parte di sé sviluppa in primo luogo la capacità di accogliere la persona dell'altro con un'attitudine di concretezza, perché per lei l'umano non è mai neutro o astratto, ma coinvolge sempre l'umanità reale di qualcuno che è persona, che sente, soffre, desidera. Il pensiero "materno" è il pensiero della relazione, dell'immaginazione, della cura. Un pensiero che non si limita alle donne che diventano concretamente madri, ma che è fonte di un'attitudine positiva verso la vita.
Ma il materno non basta alla donna: il suo benessere richiede infatti che alla cura dell'altro si affianchi la capacità di una buona cura di sé. Deve conoscere e sviluppare la sua parte "erotica". Se l'amore della madre incoraggia il materno, la parte erotica della donna prende origine dal suo rapporto con l'uomo, a partire dal padre: l'attenzione, l'interesse e la stima di un padre a sua volta amato e stimato, fanno sentire infatti alla bambina di avere valore in quanto donna, e fondano la sua stima per se stessa. Il "sé erotico" della donna consiste in questo: saper avere pensieri e progetti personali, sostenere la propria riuscita professionale, avere rispetto per se stessa; significa anche essere capace di scelte autonome e saper difendere lo spazio necessario al proprio equilibrio. La donna "erotica" sviluppa la capacità e la libertà di avere desideri, di provare piacere, di avere cura della propria bellezza.
Nelle diverse e complesse vicissitudini della vita, ogni donna è alla ricerca del proprio femminile, e in lei le due anime dell'erotico e del materno cercano voce per esprimersi e per equilibrarsi. Ma è una sfida davvero difficile, anche perché il contesto culturale spinge il femminile nell'una o nell'altra direzione, senza comprendere il valore imprescindibile di entrambe. Essere madre in modo soddisfacente e realizzarsi in modo pieno nella professione continuano ad apparire troppo spesso progetti contrapposti e inconciliabili, oppure vengono giustapposti con molta fatica e senza equilibrio: noi tutte ci chiediamo come fare, e sacrifichiamo ora l'una ora l'altra parte di noi senza trovare davvero pace.
Abbiamo bisogno di modelli, di donne che ci facciano vedere che è possibile essere intere senza soccombere, con allegria e in pace con l'uomo. Leggendo l'intervista alla professoressa Amalia Ercoli Finzi ne ho trovata una, ma so che ce ne sono tante, molte più di quello che i media ci fanno vedere. Mi piacerebbe cercare le altre, condividere il piacere di conoscerle, dare loro la visibilità che occorre per ridare coraggio a tutte le donne. Forse potrebbero essere proprio "Avvenire" e i suoi lettori a raccogliere la sfida.