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Alice Toklas: con Stein e Baudelaire la cucina diventa letteratura

Cesare Cavalleri mercoledì 20 agosto 2014
«Mi sedetti vicino a lei, e, nel primo pomeriggio, lei mi disse: Qual è la risposta? Io tacevo. In questo caso, lei riprese, qual è la domanda?». Sono le ultime parole fra Gertrude Stein morente e Alice B. Toklas, dopo quarant'anni di vita trascorsi insieme. Di Gertrude Stein (1874-1946), la madre di tutte le avanguardie, che per decenni dal primo Novecento accolse nel suo salotto parigino di rue de Fleurus il fior fiore dell'arte internazionale, da Pound a Picasso, a Hemingway, Wilder, Braque, Matisse, si sa quasi tutto e Woody Allen ha restituito l'atmosfera fervente di quei decenni in Midnight in Paris (Non avete visto il film? Colmare rapidamente la grave lacuna). Di Alice B. Toklas (B. sta per Babette, il soprannome che le diede Gertrude) si conosce invece abbastanza poco, se non i pettegolezzi su quel sodalizio che i fanatici della lega LGBT cercano di strumentalizzare, e che invece merita rispetto e silenzio (Alice morì novantenne nel 1967; si era convertita al cattolicesimo e volle essere sepolta con Gertrude nel cimitero Père Lachaise, facendo scrivere il proprio nome sul retro della stessa lapide).Si sapeva, anche dall'Autobiografia di Alice Toklas (1933), in cui Gertrude Stein ha parlato di sé in terza persona, che Alice era un'ottima cuoca, e la strepitosa conferma viene dal suo libro di ricette, scritto nel 1954, e che Bollati Boringhieri ha pubblicato col titolo I biscotti di Baudelaire (Torino 2013, pp. 240, euro 16,50). È un libro divertentissimo perché le autentiche ricette sono collegate da ricordi, aneddoti, esperienze che immettono nei libri della Stein e nel film di Allen. Non sono un gastronomo, anche se ritengo giustissimo apprezzare un buon pranzo, e non so cucinare, per cui le ricette per me non avranno seguito, ma mi piacerebbe che qualche competente partisse dal ricettario di Alice per scrivere un saggio, o almeno una tesi di dottorato, sul rapporto tra cibo e cultura, tra il mangiare e il capire, lasciando da parte Feuerbach e il suo «L'uomo è ciò che mangia».Le considerazioni di Alice sulle differenze fra la cucina francese e la cucina americana (lei amava sia gli Stati Uniti, dove era nata, sia la Francia in cui ha vissuto) sono un saggio di costume scritto col garbo di Irene Brin, con sapienti consigli anche su come si apparecchia la tavola, ricordando una preziosa cena in cui «i piatti vennero cambiati a ciascuna delle sei portate, ma non le posate, che vennero sostituite solo due volte, al formaggio e alla frutta. Tra una portata e l'altra, coltelli e forchette riposavano su sostegni d'argento». Alice si meraviglia che in Francia gli uomini amino interessarsi direttamente della cucina: «Questo fa sì che il livello della cucina casalinga sia piuttosto alto, dato che la padrona di casa è continuamente spronata a dare il meglio di sé dalle critiche, costanti, anche se benevole, che riceve».Gertrude era ricca per il vitalizio che le assicurava l'industria di un fratello, e ciò le consentiva di essere mecenate degli artisti e collezionista delle loro opere: il ritratto che Picasso le fece nel 1906, ora al Metropolitan di New York, è all'origine del cubismo. Ma le due donne ricche e sofisticate, durante la prima guerra mondiale si prestarono a portare soccorso ai soldati francesi e poi americani, recandosi a distribuire viveri e medicinali con l'automobile soprannominata "Zia Pauline" che Gertrude guidava impavida pur non sapendo usare la marcia indietro. E lo stesso fecero nella seconda Guerra mondiale.Esilaranti i rapporti con i domestici, anche cinesi, che si alternarono nella loro casa: ci fu una ragazza che resistette solo un giorno andandosene spaventata dopo aver visto i quadri d'avanguardia nel salotto.Tra le ricette ci sono i Biscotti di Baudelaire, che danno il titolo, e prevedono tra gli ingredienti un pizzico di cannabis sativa. Non c'è da stupirsi che dessero «dolce euforia e sogni estatici», ma a quel tempo la cannabis si acquistava insieme a cannella e noce moscata.Quando Alice confidò a un amico il progetto di scrivere il libro, un amico «non poco preoccupato», le chiese: «Ma, Alice, hai mai provato a scrivere?». E lei, con understatement steiniano: «Come se un libro di cucina avesse qualcosa a che fare con lo scrivere». E invece il suo libro è davvero letteratura.