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Agricoltura, la sfida della crescita

Vittorio Spinelli sabato 12 marzo 2005
L'agricoltura esiste ancora, nonostante tutto. Esiste pur se le aziende agricole continuano a diminuire, gli occupati anche, la quantità di terre coltivate pure. Esiste perché, nel frattempo è cambiato il modo di fare produzione agricola e alimentare. A far meditare su questi concetti ci ha pensato in questi giorni l'Istat che ha fornito da un lato gli aggiornamenti sui dati strutturali del settore derivanti dall'ultimo Censimento (quello del 2000), dall'altro le indicazioni sul Pil 2004. In Italia, nel biennio 2002-2003, si contavano circa 2,2 milioni di aziende, con una diminuzione di circa il 13% rispetto alle aziende censite nel 2000. A scomparire sono state le piccole imprese, quelle marginali, inefficienti. Nel frattempo, la dimensione media delle imprese rimaste è cresciuta, passando da 5,6 a 6,2 ettari. «Si è ridotto - spiegano per esempio i tecnici di Confagricoltura - il numero di aziende fino a
20 ettari ed è aumentato quello dai 20 ettari in su». Non basta, perché intanto sembra essere cresciuta la terra coltivata ma in affitto. Cosa vuol dire tutto questo? Stando agli analisti del settore, l'agricoltura cerca di adeguarsi ai tempi. «Il settore - dice per esempio sempre Confagricoltura - attraversa una fase di transizione. I segnali di rinnovamento ci sono, anche se sono ancora deboli e resta il divario rispetto ad altri Paesi europei più avanzati, dove le dimensioni medie aziendali consentono importanti economie di scala». Intanto, un altro segnale importante della capacità di «vincere» sugli altri settori è fornito anche dal buon risultato del valore aggiunto agricolo nel 2004, che l'Istat ha fissato al +10,8%. Un segno - hanno commentato per una volta unanimi Governo, Cia e Coldiretti - della vitalità del settore e della sua voglia di crescere. Soprattutto - ha aggiunto Coldiretti - in un anno caratterizzato da una produzione agricola in crescita per qualità e quantità, ma con prezzi all'origine dei prodotti agricoli italiani diminuiti del 5%, mediamente più bassi rispetto a quelli di dieci anni fa. Rimangono però le indicazioni che arrivano dal mercato. Come quello del cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani. Stando ad alcune rilevazioni di Cia, infatti, nel 2004 il consumo di pane è sceso del 5%, quelli di frutta e verdura del 10. Crescono, invece, gli acquisti di latte (+1%) e di yogurt (+3%). La pasta e il vino, invece, mostrano una certa stazionarietà. Anche questi sono segnali importanti che indicano tra l'altro un allontanamento dalla tanto elogiata «dieta mediterranea» che è stata per molto tempo uno dei cavalli di battaglia della nostra agricoltura. In definitiva, quindi, l'agricoltura del Paese vive ancora in quel lungo periodo di transizione determinato dalla razionalizzazione delle sue strutture produttive e dal cambiamento della struttura dei consumi e dei redditi. Una fase che obbliga gli imprenditori a cambiare rotta spesso (forse troppo), ma che chiede di essere attraversata.