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A Selinunte si impara che cosa ci unisce

Gianfranco Marcelli martedì 8 ottobre 2019
Ai turisti che da ogni parte del mondo affluiscono a Selinunte, oltre alle suggestione dei grandi edifici sacri, in parte ricomposti e incorniciati nei panorami mozzafiato della costa siciliana sud-occidentale, la direzione del Parco archeologico propone da poco più di un anno un video tanto bello quanto istruttivo. Le immagini, accompagnate da una musica avvolgente, vengono proiettate direttamente sulla facciata, ricostruita dentro l'area museale "Baglio Florio", del "tempio Y", forse il più maestoso, oltre che più misterioso, delle antiche costruzioni risalenti al sesto secolo avanti Cristo. Per la maggior parte dei visitatori è quasi certamente una scoperta: la scoperta di Europa.
Uno dei miti più celebri della Grecia antica, il ratto della figlia del re fenicio Agenore da parte di Zeus nelle sembianze di un toro dal bianco mantello, rivive sotto gli occhi incantati e per lo più inconsapevoli di migliaia di persone. Le quali apprendono così le origini remote di un nome che, prima di indicare un continente, apparteneva a una fanciulla al centro di una leggenda capace di ispirare poeti e artisti di ogni epoca, da Omero a Ovidio, da Rembrandt a Tiziano. Ma che è anche un "nomen omen", il racconto-metafora di un destino che da almeno tre millenni coinvolge popoli e territori cuciti insieme dal filo della storia.
La scelta del soggetto narrato nel video si deve a una delle più preziose "reliquie" architettoniche della Grecia arcaica: una metope, ossia una parte del fregio che ornava il frontone del tempio, oggi custodita nel Museo Salinas di Palermo, che raffigura appunto il rapimento della giovane principessa di Tiro, a quanto pare consenziente, da parte del re degli dei. Le immagini rilanciano in continuazione la cavalcata attraverso le onde del Mediterraneo del toro con Europa a cavalcioni. E rimandano al seguito del mito: l'approdo sull'isola di Creta, la nascita di tre figli fra i quali Minosse, la ricerca senza soste della fanciulla da parte dei fratelli, uno dei quali, Cadmo, approda infine sulle rive greche e fonda la città di Tebe, importandovi anche l'alfabeto fenicio.
Ecco così descritta in poche pennellate la ragione di un nome, Europa, che i popoli delle sponde orientali attribuivano a chi stava dalla parte del sole al tramonto e che a loro volta i greci assegnarono a quanti vivevano a nord delle proprie terre. Risalta, tra est e ovest e tra mezzogiorno e settentrione, il ruolo centrale del "Mare di Mezzo" nel tessere la trama di un continente, che oggi stenta a ritrovare la ragione del suo stare insieme. Mentre invece per tanti secoli il succedersi di dominazioni e di imperi non ha mai messo in dubbio l'appartenenza a una comune vicenda umana, simboleggiata a Selinunte dall'affacciarsi sulle medesime acque dei retaggi di
tante civiltà solo in apparenza diverse.
Prima ancora che dai trattati e dagli accordi politici, l'unità dell'Europa si fonda sulle sue radici antiche e sul suo "ombelico" marino, che solo in apparenza può sembrare collocato troppo a sud per poter fungere da baricentro. Le distanze più complesse
da colmare non sono quelle geografiche. Lo ha ben compreso la Conferenza episcopale italiana, chiamando a raccolta a Bari, fra pochi mesi, i presuli di tutti gli Stati rivieraschi, ma anche rappresentanti dell'ebraismo e dell'Islam. La Chiesa è consapevole che il dialogo strategico, quello da cui dipende la concordia e la collaborazione fra gli stessi
Paesi membri della Ue, può ben riannodarsi attorno al Mediterraneo, coinvolgendo anche fedi e culture differenti. La presenza nel capoluogo pugliese di rappresentanti di Bruxelles fa ben sperare. Purché non si limitino a una passerella, ma colgano la portata storica dell'occasione che si apre.