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A Londra per fuggire l'Italia brutta, ma infrangendo qualche regola

Cesare Cavalleri mercoledì 5 marzo 2014
Caterina Soffici, giornalista e scrittrice, si è trasferita a Londra col marito e i due figli, e tutto le sembra bello. Via da quel Paese corrotto, maleducato, furbastro e in sfacelo che è l'Italia: a Londra tutto funziona, tutto è ammodo, la gente fa disciplinatamente la fila ed è contenta di farla, chi tenta di guadagnare un posto più avanti è oggetto di ferrea censura sociale, e comunque c'è sempre un vigile pronto a intervenire. Soffici racconta il suo impatto londinese in Italia yes Italia no (Feltrinelli, pp. 144, euro 14), libro divertente e folto di aneddoti, profondamente italiano, perché il nostro è l'unico popolo al mondo che ama parlar male del proprio Paese, peraltro offendendosi se qualche straniero ripete le critiche di cui l'italiano pretende il copyright.L'autrice si fa portavoce di quanti hanno deciso di trasferirsi all'estero, e sono moltissimi: negli ultimi due anni Londra ha accolto 250mila italiani. «Nessuno vuole dimettersi da italiano», scrive. Ma «vogliamo vivere in paesi civili, dove si rispettano le regole, dove il bene comune è superiore all'egoismo del singolo, dove chi sbaglia paga, dove i politici si dimettono, dove i diritti non sono un privilegio, dove i privilegi non sono istituzionalizzati, dove non c'è bisogno di avere santi in paradiso, dove non si invidiano i furbi e non si deridono gli ingenui».Non che a Londra tutto funzioni a puntino: anche gli inglesi hanno i loro scandali, la Bbc è stata scossa da episodi di pedofilia, i giornali di Murdoch hanno pagato cara la consuetudine di corrompere funzionari e poliziotti per avere informazioni riservate, ma – è questa la differenza – lassù (o laggiù) chi ha sbagliato chiede scusa, risarcisce i danni, e le istituzioni prendono misure perché i misfatti non si ripetano.Altra pecca. Il sistema scolastico inglese è tuttora elitario: solo chi è in grado di pagare le costosissime rette può iscrivere i propri figli nelle scuole migliori (e sono scuole private, la scuola pubblica è parecchi gradini più in giù), e la rigida selezione avviene praticamente per censo. Per i suoi figli, Soffici ha dovuto ripiegare su una scuola internazionale dove, per il leggendario pragmatismo inglese, «non viene richiesto di incamerare una nozione astratta, ma di sviluppare un pensiero critico. Cercare di capire perché si fa una cosa al posto di un'altra, interagire, prendere delle decisioni. Ti insegnano che i libri sono uno strumento e non il fine. Che il docente non è l'oracolo». Certo, qualche dubbio rimane: «Gli studenti che escono da queste scuole sono mediamente più ignoranti dei nostri? Probabilmente sì. Ma non importa. Saranno degli ignoranti internazionali, ma a 16 anni sono costretti a capire cosa vorranno fare da grandi. Impegno principale degli insegnanti è individuare e tirare fuori i cosiddetti skills, ossia le capacità degli alunni». La ferrea meritocrazia «crea gente più motivata, studenti curiosi e più versatili. E li prepara al motto del Saint Martins: “Be brave and do what you love”. Sii coraggioso e fa' ciò che ami».Tuttavia, il troppo stroppia. Una multa per aver superato di 37 secondi il tempo di sosta segnato dal parchimetro è eccessiva anche per Caterina Soffici, soprattutto per le conseguenze sul figlio tredicenne che, in analoga circostanza, parteggia per la legge e non per la madre che stava recuperando le chiavi dell'auto dimenticate nel negozio da cui era uscita. Al punto che mamma Caterina ha istituito “lezioni di illegalità”: «Una volta alla settimana lo costringo a infrangere le regole. Abbiamo iniziato con una lezione di illegalità semplice, dal titolo: Fieri di attraversare con il rosso». Un esempio un po' eccessivo, mi pare, ma comprensibile come reazione al legalismo di un popolo che non conosce l'epicheia, la sospensione della legge in un caso specifico, quando dall'ossequio alla lettera deriverebbe un'ingiustizia. Del resto, mentre Aristotele, nell'Etica nicomachea, teorizzava l'epicheia (IV secolo a. C.) i britanni uscivano faticosamente dall'Età del ferro.