Rubriche

Il taccuino e la trottola: letture di vita

mercoledì 16 luglio 2014
Si comincia dalla fine: la giovane Simone è in ospedale, debilitata dalla tubercolosi, disperata per il proprio stato. Sente la fine avvicinarsi ma non è la malattia a turbarla, piuttosto l’impossibilità di rendersi utile, di vivere quella vita attiva, indipendente e controcorrente, libera di pensare e scrivere che ha caratterizzato la sua breve esistenza. E’ il 1943, la guerra è ancora in corso, l’Europa attraversata dalla furia nazista; dal suo letto del sanatorio alle porte di Londra, a 34 anni Simone Weil ripensa al suo passato di ragazza assetata di verità e giustizia. Sotto il cuscino nasconde un quadernetto e quando è sola si tiene compagnia con la propria vita. Scrive annotando memorie d’infanzia, flash familiari, la sua voglia di imparare, di avere idee nuove da confrontare con la realtà per cambiare davvero il mondo. E ancora ricordi affettuosi di complicità con il fratello André, suo amatissimo maestro di matematica, astronomia e filosofia, ma soprattutto compagno di letture, di favole e versi di grandi poeti che i due imparavano a memoria e recitavano come per gioco. Eccolo qui Il taccuino di Simone Weil – un libriccino dalle dimensioni tipiche del diario, con quell’elastico che tiene insieme le pagine preservandole dalle brutte pieghe oltre che da sguardi estranei – il romanzo che ripercorre la vita e il pensiero di una delle maggiori filosofe e scrittrici del Novecento. Lo pubblica
nella collana “Jeunesse ottopiù” l’editore palermitano rueBallu (22 euro) con la firma di Guia Risari - autrice, traduttrice, saggista di storia e filosofia - e le illustrazioni di Pia Valentinis, entrambe capaci di rendere con intensità e profondità la vita coraggiosa, senza mezze misure e sensibile alle sofferenze altrui di Simone Weil. Sono pagine che toccano la mente e il cuore, piene di riflessioni sulla vita, sulla violenza, la guerra e la pace, sulla Germania e la Francia, sull’ Europa. Pagine che raccontano viaggi e incontri, sogni e disillusioni, passione per il sapere, la politica
e la povertà. Bellissime e da meditare. Dai 14 anni.
Quanto eroica sia stata anche la vita di Sofia Kovalevskaja, grande matematica russa vissuta nella seconda metà dell’Ottocento, lo racconta Viki De Marchi ne La trottola di Sofia, romanzo scritto in prima persona, come un’autobiografia che l’Editoriale Scienza pubblica nella collana “Donne nella scienza”(12,90 euro),
con le illustrazioni di Simona Mulazzani.
Dotata di un talento speciale per la matematica che l’aveva incuriosita fin da piccola, merito di una passione trasmessa dal padre e dallo zio, Sofia a cui piaceva leggere e comporre poesie, dovette lottare contro il suo tempo che mal digeriva le donne istruite. In quegli anni, in Russia l’università era vietata alle ragazze e Sofia dovette accontentarsi, dopo lunghe battaglie con i genitori, di lezioni private a casa, cosa che tuttavia le giovò perché fior di insegnanti la iniziarono al calcolo differenziale e integrale oltre alla geometria analitica. Non rimaneva che andare all’estero, ma per farlo una ragazza per bene doveva trovarsi un marito, anche di facciata, per farsi accompagnare in questa avventura. E la giovanissima Sofia se lo trovò, ingaggiando così la propria personalissima battaglia per il diritto allo studio delle donne, iniziando a viaggiare, in Inghilterra e in Germania, a Parigi e poi ancora a San Pietroburgo, spesso in compagnia della sorella. Sempre studiando con ostinazione. E infine a Stoccolma dove l’Università le offrì, per la prima volta nella storia della matematica, un posto prima da insegnante. Non che la vita da docente lì fosse tutta rosa e fiori; molti si opposero alla sua nomina, molti le dichiararono una guerra sotterranea ma altrettanti apprezzarono le sue straordinarie capacità, i suoi lavori
di grande valore sulla rotazione dei solidi. E piovvero anche i Premi, la fama e il rispetto. Purtroppo tutto fuori dai confini della Russia, il suo Paese, dove le porte dell’Università non si aprirono né per lei né per le altre donne. Anche se ovunque il cammino femminile verso l’emancipazione e i diritti sarebbe stato ancora lungo. Dai 12 anni.