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Vaticano. Il Papa alla Curia: «Dalla crisi si rinasce, no ai conflitti»

Stefania Falasca lunedì 21 dicembre 2020
«Il Natale di Gesú di Nazaret è il mistero di una nascita che ci ricorda che “gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare”, come osserva in maniera tanto folgorante quanto incisiva Hannah Arendt». Prendendo a prestito questa citazione della filosofa ebrea discepola di Heidegger, papa Francesco introduce quest’anno il discorso alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi nel tempo della crisi dettata della pandemia.

È questo «il Natale della crisi sanitaria, economica sociale e persino ecclesiale che ha colpito ciecamente il mondo intero». Un flagello che continua ad essere «un banco di prova non indifferente» e, nello stesso tempo, per il Papa «una grande occasione per convertirci e recuperare autenticità». In questo suo settimo appuntamento pre natalizio con i cardinali e superiori della Curia il suo intervento si sofferma perciò proprio sulla crisi della pandemia. Come «occasione propizia per una breve riflessione sul significato della crisi, che può aiutare ciascuno». Parla quindi delle diverse crisi soffermandosi su quella interna alla Chiesa e indica di guardarle alla luce del Vangelo esortando «a non confondere la crisi con il conflitto». Perché «la crisi generalmente ha un esito positivo, mentre il conflitto crea sempre un contrasto, una competizione, un antagonismo apparentemente senza soluzione fra soggetti divisi in amici da amare e nemici da combattere. «Ognuno di noi – dice il Papa – qualunque posto occupi nella Chiesa, si domandi se vuole seguire Gesù con la docilità dei pastori o con l’auto-protezione di Erode, seguirlo nella crisi o difendersi da Lui nel conflitto». Invita perciò a conservare una grande pace e serenità, nella piena consapevolezza che tutti noi, io per primo, siamo solo “servi inutili” (Lc 17,10), ai quali il Signore ha usato misericordia». E augura di smettere di vivere in conflitto e tornare invece a sentirsi in cammino.

La storia della salvezza passa per le crisi

Papa Francesco ha ricordato quando il 27 marzo scorso sul sagrato di San Pietro, davanti alla piazza vuota ma piena di un’appartenenza comune che ci unisce in ogni angolo della terra, ha voluto pregare per tutti e con tutti, e ha avuto modo di dire il possibile significato della “tempesta” che aveva ci aveva travolto tutti. E come la tempesta abbia fatto cadere «il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Ha poi ricordato come «la Provvidenza ha voluto che proprio in questo tempo difficile» abbia scritto Fratelli tutti, l’enciclica dedicata al tema della fraternità e dell’amicizia sociale che è «una grande lezione che ci viene dai Vangeli dell’infanzia di Gesù».

E partendo dalla Bibbia mette a tema la crisi. Facendo osservare che la Bibbia «è popolata di persone che sono state “passate al vaglio”, di “personaggi in crisi” che però «proprio attraverso di essa compiono la storia della salvezza». Crisi che si risolvono positivamente. Come la crisi di Abramo, che lascia la sua terra e che deve vivere la grande prova di dover sacrificare a Dio il suo unico figlio Isacco. Crisi che si risolve da un punto di vista teologale con la nascita di un nuovo popolo. C’è poi quella di Mosè che si manifesta nella sfiducia in sé stesso. Quella di Elia, il profeta tanto forte da essere paragonato al fuoco che in un momento di grande crisi desiderò persino la morte, ma poi sperimentò la presenza di Dio. C’è quella religiosa di Paolo di Tarso che sulla via di Damasco viene spinto a lasciare le sue sicurezze per seguire Gesù. «San Paolo – dice il Papa – è stato davvero un uomo che si è lasciato trasformare dalla crisi, e per questo è stato artefice di quella crisi che ha spinto la Chiesa a uscire fuori dal recinto d’Israele per arrivare fino agli estremi confini della terra». Ma la crisi più eloquente è quella Gesù: i Vangeli sottolineano che «Egli inaugura la sua vita pubblica attraverso l’esperienza della crisi vissuta nelle tentazioni».

Il realismo della speranza

Questa riflessione sulla crisi del Papa mette in guardia dal giudicare frettolosamente la Chiesa in base alle crisi causate dagli scandali di ieri e di oggi: «Quante volte anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza. Una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire. Dio continua a far crescere i semi del suo Regno in mezzo a noi. Qui nella Curia sono molti coloro che danno testimonianza con il loro lavoro umile, discreto, silenzioso, leale, professionale, onesto». «Chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo – afferma Francesco – si limita a fare l’autopsia di un cadavere. Siamo spaventati dalla crisi non solo perché abbiamo dimenticato di valutarla come il Vangelo ci invita a farlo, ma perché abbiamo scordato che il Vangelo è il primo a metterci in crisi». Se si riconosce invece che il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, allora, «anche davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento, non ci sentiremo più schiacciati, ma conserveremo costantemente un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio».

Non confondere la crisi con il conflitto

Per il Papa non bisogna confondere però la crisi con il conflitto. «La novità introdotta dalla crisi voluta dallo Spirito non è mai una novità in contrapposizione al vecchio – spiega – bensì una novità che germoglia dal vecchio e lo rende sempre fecondo». La logica del conflitto invece «cerca sempre i “colpevoli” da stigmatizzare e disprezzare e i “giusti” da giustificare per introdurre la consapevolezza che questa o quella situazione non ci appartiene». «Questa perdita del senso di una comune appartenenza favorisce la crescita o l’affermarsi di certi atteggiamenti di carattere elitario e di “gruppi chiusi” che promuovono logiche limitative e parziali, che impoveriscono l’universalità della nostra missione». E quindi la Chiesa, «letta con le categorie di conflitto – destra e sinistra, progressisti e tradizionalisti – frammenta, polarizza, perverte e tradisce la sua vera natura». La Chiesa perciò non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti, perché «in questo modo diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, così lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito ha donato alla sua Chiesa». In questo senso, spiega il Papa «tutte le resistenze che facciamo all’entrare in crisi lasciandoci condurre dallo Spirito nel tempo della prova ci condannano a rimanere soli e sterili. Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi».

«Non siamo chiamati a cambiare il Corpo di Cristo»

Il Papa parla poi della crisi all’interno della Chiesa. «E se vogliamo davvero un aggiornamento – afferma – dobbiamo avere il coraggio di una disponibilità a tutto tondo; si deve smettere di pensare alla riforma della Chiesa come a un rattoppo di un vestito vecchio, o alla semplice stesura di una nuova Costituzione Apostolica». Ricorda che non si tratta di “rattoppare un abito”, perché la Chiesa non è un semplice “vestito” di Cristo, bensì è il suo corpo che abbraccia tutta la storia: «Noi non siamo chiamati a cambiare o riformare il Corpo di Cristo – «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per sempre!» (Eb 13,8) – ma siamo chiamati a rivestire con un vestito nuovo quel medesimo Corpo, affinché appaia chiaramente che la Grazia posseduta non viene da noi ma da Dio».

Che cosa fare durante la crisi?

«Innanzitutto, accettarla come un tempo di grazia – afferma il Papa – donatoci per capire la volontà di Dio su ciascuno di noi e per la Chiesa tutta». Occorre entrare nella logica evangelica apparentemente contraddittoria che «quando sono debole, è allora che sono forte». E poi pregare: «Fondamentale è non interrompere il dialogo con Dio…non dobbiamo stancarci di pregare sempre». Conclude infine che non c’è alcun’altra soluzione ai problemi che si stanno vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto è possibile con più fiducia: «Non vi sia nessuno che ostacoli volontariamente l’opera che il Signore sta compiendo in questo momento, e chiediamo il dono dell’umiltà del servizio affinché Lui cresca e noi diminuiamo (cfr Gv 3,30)».