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Iraq. Il Papa alla Piana di Ur: non ci sarà pace finché gli altri non saranno un "noi"

Stefania Falasca, inviata a Ur (Iraq) sabato 6 marzo 2021

Su Tell Al-Muqayyar, la collina della pace, arriviamo quando c’è solo il vento. Nella distesa deserta, le rovine della casa di Abramo sconfinano con la torre a gradini sumeri della Ziqqurat. È il silenzio della culla della civiltà e della biblica Piana di Ur a conquistare i convitati di fedi diverse che uno dopo l’altro si fanno posto davanti alla grande tenda, aspettando l’appuntamento con il primo papa della storia a chiamarsi Francesco.

Siamo nella terra dove secondo la tradizione il «Patriarca di molti», Abramo, parlò per la prima volta con Dio, siamo nel luogo di nascita del padre che unisce ebrei, cristiani e musulmani. «Questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni – ha detto Francesco rivolgendosi a rappresentanti sunniti, sciiti, yazidi – In questa piazza, davanti alla dimora di Abramo nostro padre, sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia». «Noi – ha continuato il Papa – siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle. In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi».

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Per ricucire le ferite delle guerre che hanno segnato fratture nella millenaria storia di convivenza tra fedi e popoli diversi del Medio Oriente, Ur diventa così il luogo di ripartenza del dialogo interreligioso. Il luogo privilegiato per ribadire l’appello alla fratellanza. Mentre s’intonano canti in arabo alternati al ronzio di un drone e si leggono brani della Genesi e del Corano il vento gioca con le vesti bianche del Papa. La prospettiva da seguire è quella sulle orme di Abramo che guardò il cielo, «e guardando l’oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello» e camminò sulla terra, in «un cammino in uscita che ci fa comprendere che abbiamo bisogno gli uni degli altri» dice Francesco. Lo stesso a cui sono chiamati i credenti. Il Papa ha allora ribadito che «non ci sarà pace finché gli altri non saranno un “noi”», che «la via che il Cielo indica al nostro cammino è la via della pace e ha ricordato tutte le ferite di questa terra, le sofferenze delle comunità perseguitate, in particolare degli yazidi.

«Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello» ha quindi affermato papa Francesco. E con chiarezza ha ribadito: «Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio!».

E poi le parole della responsabilità da assumersi: «Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa». Questo il programma esigente di Abramo oggi. Nella consapevolezza che in questo momento più alto del viaggio apostolico in Iraq, condiviso con i rappresentanti delle diverse religioni, si gioca il futuro dell’umanità. Al termine dell’incontro nella Piana di Ur dei Caldei un frate ha intonato in arabo la Preghiera dei figli di Abramo che si apre con il ringraziamento al Signore per il dono di un padre comune nella fede.

Ritornando a Baghdad il Papa ha voluto visitare la Cattedrale caldea di San Giuseppe dove celebrando la Messa ha ricordato ai cattolici che qui, «dove nell’antichità è sorta la sapienza, in questi tempi si sono levati tanti testimoni, spesso trascurati dalle cronache, ma preziosi agli occhi di Dio; testimoni che, vivendo le Beatitudini, aiutano Dio a realizzare le sue promesse di pace».

La preghiera dei figli di Abramo

Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra.

Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua terra per andare verso una terra che non conosceva.

Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato.

Ti ringraziamo, in particolare, per la sua fede eroica, dimostrata dalla disponibilità a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo comando. Sappiamo che era una prova difficilissima, dalla quale tuttavia è uscito vincitore, perché senza riserve si è fidato di Te, che sei misericordia e apri sempre possibilità nuove per ricominciare.

Ti ringraziamo perché, benedicendo il nostro padre Abramo, hai fatto di lui una benedizione per tutti i popoli.

Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse.

Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati.

Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione e di pace, costruttori di una società più giusta e fraterna.

Accogli nella tua dimora di pace e di luce tutti i defunti, in particolare le vittime della violenza e delle guerre.

Assisti le autorità civili nel cercare e trovare le persone rapite, e nel proteggere in modo speciale le donne e i bambini.

Aiutaci a prenderci cura del pianeta, casa comune che, nella tua bontà e generosità, hai dato a tutti noi.

Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen.

Ansa