Papa

Santa Marta 26 giugno. La Chiesa è comunità se si avvicina agli ultimi

Alessandro de Carolis, Radio Vaticana venerdì 26 giugno 2015
I cristiani devono avvicinarsi e tendere la mano a coloro che la società tende a escludere, come fece Gesù con gli emarginati del suo tempo. Questo rende la Chiesa una vera “comunità”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa Santa Marta. Il primo a sporcarsele è stato Gesù. Avvicinando gli esclusi del suo tempo. Si è sporcato le mani toccando i lebbrosi, per esempio, guarendoli. E insegnando così alla Chiesa “che non si può fare comunità senza vicinanza”. Papa Francesco centra l’omelia sul protagonista del breve brano del Vangelo, un malato di lebbra che si fa coraggio, si prostra davanti a Gesù e gli dice: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”. E Gesù lo tocca e lo risana. Il bene non si fa da lontano Il miracolo, nota il Papa, avviene sotto gli occhi dei dottori della legge per i quali invece il lebbroso era un “impuro”. “La lebbra – osserva – era una condanna a vita” e “guarire un lebbroso era tanto difficile come resuscitare un morto”. E per questo venivano emarginati. Gesù invece tende la mano all’escluso e dimostra il valore fondamentale di una parola, “vicinanza”: “Non si può fare comunità senza vicinanza. Non si può fare pace senza vicinanza. Non si può fare il bene senza avvicinarsi. Gesù ben poteva dirgli: ‘Sii guarito!’. No: si avvicinò e lo toccò. Di più! Nel momento che Gesù toccò l’impuro divenne impuro. E questo è il mistero di Gesù: prende su di sé le nostre sporcizie, le nostre cose impure. Paolo lo dice bene: ‘Essendo uguale a Dio, non stimò un bene irrinunciabile questa divinità; annientò se stesso’. E poi, Paolo va oltre: ‘Si fece peccato’. Gesù si è fatto peccato. Gesù si è escluso, ha preso su di sé l’impurità per avvicinarsi a noi”. Gesù include Il passo del Vangelo registra anche l’invito che Gesù fa al lebbroso guarito: “Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro”. Questo perché, sottolinea Francesco, per Gesù oltre alla prossimità è fondamentale anche l’inclusione: “Tante volte penso che sia, non dico impossibile, ma molto difficile fare del bene senza sporcarsi le mani. E Gesù si sporcò. Vicinanza. E poi va oltre. Gli disse: ‘Vai dai sacerdoti e fa quello che si deve fare quando un lebbroso viene guarito’. Quello che era escluso dalla vita sociale, Gesù include: include nella Chiesa, include nella società… ‘Vai, perché tutte le cose siano come devono essere’. Gesù non emargina mai alcuno, mai. Emargina sé stesso, per includere gli emarginati, per includere noi, peccatori, emarginati, con la sua vita”. Vicinanza è tendere la mano Il Papa mette in risalto lo stupore che Gesù suscita con le sue affermazioni e i suoi gesti. “Quanta gente – commenta – seguì Gesù in quel momento” e “segue Gesù nella storia perché è stupita di come parla”: “Quanta gente guarda da lontano e non capisce, non le interessa… Quanta gente guarda da lontano ma con cuore cattivo, per mettere Gesù alla prova, per criticarlo, per condannarlo… E quanta gente guarda da lontano perché non ha il coraggio che lui ha avuto, ma ha tanta voglia di avvicinarsi! E in quel caso, Gesù ha teso la mano, prima. Non come in questo caso, ma nel suo essere ha teso la mano a tutti, facendosi uno di noi, come noi: peccatore come noi ma senza peccato, ma sporco dei nostri peccati. E questa è la vicinanza cristiana”. È una “bella parola, quella della vicinanza”, conclude Francesco. Che invita a un esame di coscienza: “Io so avvicinarmi?”. Ho “animo, ho forza, ho coraggio di toccare gli emarginati?”. Una domanda, dice, che riguarda anche “la Chiesa, le parrocchie, le comunità, i consacrati, i vescovi, i preti, tutti”.