Opinioni

Il voto in fabbrica a Pomigliano. Ma la porta deve stare aperta

Francesco Riccardi mercoledì 23 giugno 2010
«Non chiudete quella porta!». All’indomani del voto dei lavoratori di Pomigliano d’Arco – qualunque ne sia stato l’esito, non ancora noto nelle sue esatte proporzioni al momento in cui scriviamo – è questo l’unico slogan che ci piacerebbe sentir scandito. Non deve chiudere la porta la Fiat. I cancelli dello stabilimento, anzitutto, che vanno lasciati aperti anche se il 100% dei consensi – com’è scontato – non verrà raggiunto, resistendo alla tentazione di ri-collocare la produzione della nuova Panda in Polonia. E soprattutto non deve sbarrare l’accesso al confronto, ma al contrario impegnarsi ancora a ricercare il consenso più vasto possibile, offrendo alla Fiom la possibilità di rientrare in gioco, qualunque sia stata l’entità della sua sconfitta o, a maggior ragione, in caso di una qualche affermazione. Meglio perdere altre due settimane al tavolo negoziale, forti del consenso già raggiunto, che cercare di approfittarne subito, finendo poi per infilarsi in un tunnel di ricorsi legali, di microconflittualità e di un pericoloso scontento latente fra i lavoratori. Men che meno l’amministratore delegato Marchionne dovrebbe farsi tentare dall’ipotesi del cosiddetto "Piano C", con la creazione di una società nella quale ri-assumere – fuori dal contratto nazionale – i soli lavoratori che accettassero le condizioni imposte. Magari escludendo quelli iscritti alla Fiom o comunque "poco collaborativi". Sarebbe come sbattere la porta in faccia, non a una componente sindacale, ma all’insieme dei lavoratori, al Paese. E il contraccolpo potrebbe essere altrettanto duro.Anche la Fiom, però, farebbe bene a non chiudere la porta. Perché, nonostante consideri illegittimo il referendum, non potrà non tener conto dell’espressione degli operai. E se anche la percentuale dei "no" fosse significativa, la sua vittoria nelle urne sarebbe la sconfitta dell’occupazione. E dunque ci sarebbe ben poco da gioire, al di là di un’effimera affermazione "politica" nei confronti della casa-madre Cgil e delle federazioni cugine. Bando allora allo splendido (e sterile) isolamento nel quale la Fiom si è auto-relegata da tempo, porte aperte invece al confronto. Con gli imprenditori, gli altri sindacati e con la realtà, pure se sgradita. Col coraggio di innovare e assumersi anche la responsabilità di partecipare al cambiamento.E ancora, non dovrebbero chiudere la porta neppure Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl, anche se per loro il negoziato è finito, l’intesa firmata e approvata dai lavoratori. Vale la pena, pur di ritrovare l’unità dei lavoratori, anche uno sforzo in più, qualche ulteriore colpo di lima all’intesa.Perché se è vero – com’è vero – che tutti i sindacati, Fiom compresa, avevano accettato l’organizzazione su 18 turni, il ridisegno delle pause e l’aumento degli straordinari, il più è fatto. C’è già l’accordo su ciò che davvero conta per la vita concreta degli operai. Sul resto – la lotta all’assenteismo e le clausole di responsabilità contro gli scioperi che vanificano le intese – c’è la possibilità di tornare a confrontarsi e trovare un nuovo, più alto e comunque efficace compromesso. Sarebbe sufficiente darsi atto di una fiducia reciproca, lavorando insieme nelle commissioni paritetiche chiamate ad esaminare i casi di "malattie" anomale. E specificare che non di (ipotetiche) lesioni al diritto di sciopero si tratta, ma di semplici forme di autoregolamentazione. Con sanzioni limitate e concordate. Come ne esistono già in altri settori, senza perciò aver messo in mora alcun diritto costituzionale. Tutto si può concordare. Basta non chiudere la porta.