Opinioni

Il caso del panificatore torinese che si finse morto. Vivere una seconda esistenza? La prima ti braccherà

Umberto Folena mercoledì 31 luglio 2013
Matteo (nome di fantasia), panettiere piemontese di 52 anni, ha una pensata semplice come un grissino. Tre anni fa incarica un amico di presentare la sua dichiarazione dei redditi in qualità di «defunto». Morto. Azzerato. In realtà continua ad avere il suo panificio e pure una giovane moldava come compagna. Ma non è una mente criminale, Matteo. Un giorno, mentre conduce l’auto di un amico (un morto non può possedere un’auto) con la patente revocata (un morto non ha la patente), ha un incidente; e un impulso misterioso e irresistibile, di certo riconducibile alla sua onesta vita precedente, lo induce a lasciare a un barista il numero di telefono della compagna. La Polizia municipale indaga, sente puzza di bruciato, passa la pratica alla Guardia di Finanza che scova il fu Matteo, tanto da far dire alle autorità: «Un ottimo lavoro, noi sì che sappiamo stanare i furbetti che evadono il fisco nei modi più impensabili».Mattia, di cognome Pascal, circa 110 anni fa è un giovane ligure in dissesto finanziario, con due figli nel grembo di due fanciulle diverse, una delle quali sua moglie. Oberato da indicibile tristezza, decide di dare un taglio netto a tutto e di imbarcarsi a Marsiglia verso le Americhe. Ma a Nizza scopre un librino sulla roulette, a Montecarlo gioca e vince, vince, vince. Stravince. Mentre torna in Italia con il gruzzolo, legge la notizia della sua morte: l’hanno scambiato con uno sconosciuto. Insperata fortuna! Morire e rinascere (Pascal, pasqual: una sottile allusione?), qual modo migliore per «farsi una nuova vita»? Naturalmente le cose non saranno tanto semplici, come sa chi conosce il romanzo di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal. Matteo invece esiste davvero ed è stato pizzicato a Nichelino (Torino) la settimana scorsa.Cronaca e letteratura. Due casi, diversi nelle forme ma analoghi negli esiti, di evasione. Evadere dalla gabbia dei problemi che ti schiacciano, evadere delle responsabilità che ti opprimono, evadere delle relazioni che ti imprigionano. Evadere da una vita rivelatasi a poco a poco «sbagliata» per ricominciare da capo con la certezza che la vita numero due sia quella «giusta». E chi – almeno una volta, almeno per un istante – non ha visto lampeggiare questo pensiero nella propria mente? Evadere, scappare, ricominciare azzerando la propria biografia. Una fuga radicale, assai più di quella dell’emigrante che alle spalle lascia comunque degli affetti e delle relazioni che forse un giorno potrà recuperare. Di più. La fuga radicale di chi torna ad essere nessuno per poter ridiventare qualcuno: senza problemi, senza assilli, senza i macigni di responsabilità ritenute insostenibili.Scappate, Matteo e Mattia. Scappiamo, noi tutti che quel pensiero abbiamo visto balenare e abbiamo allontanato con un sospiro o un sorriso, come certe tentazioni troppo grandi (per fortuna) per la nostre misere capacità di metterle in atto. La cronaca, e pure la letteratura, ci insegnano che la vita numero uno ci insegue, ci stana e ci presenta il conto. E la terza vita sarà più miserevole delle prime due. Di vita ne abbiamo una sola e fuggirle è vano. E possiamo soltanto renderla più lieve, migliorarla, redimerla.<+copyright>