Opinioni

Giudici e scuola. Vecchie incrostazioni, nuovi orizzonti

Carlo Cardia venerdì 14 agosto 2009
Nel leggere la sentenza del Tar Lazio sull’insegnamento della religione sembra quasi di fare un tuffo nel passato, si ha l’impressione di rivivere un clima di divisioni tra Stato e Chiesa che non esiste più. Essa ignora l’evoluzione dello Stato che è diventato in Occidente Stato laico sociale, aperto alle fedi e alle religioni, a cominciare da quelle che sono alla radice delle rispettive nazioni. Ed ignora l’orizzonte multiculturale attuale, per il quale religioni e culture intendono convivere in un rapporto di dialogo e contribuire insieme al bene comune.Già altri hanno individuato la debolezza tecnica della sentenza, osservando che se al credito complessivo scolastico contribuiscono anche materie opzionali, comprese quelle alternative alla religione, non si comprende come non possa concorrervi l’insegnamento religioso, già di per sé insegnamento curriculare. Ma questo rilievo, pur esatto, non deve far dimenticare che la sentenza muove da una concezione errata della religione e del suo inserimento nella scuola quando afferma che "un insegnamento etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico". Siamo di fronte ad un travisamento totale dell’insegnamento religioso il quale è certamente legato ad una radice di fede, ma produce poi ricchezza culturale, conoscitiva, etica, sempre più necessaria per il progetto formativo della scuola.Oggi più di ieri ampi settori culturali riconoscono che la religione costituisce un arricchimento antropologico, è fonte di valori etici, spirituali, sociali, di cui sentiamo un disperato bisogno. Se si vuole costruire una barriera da frapporre al razzismo e una cultura dell’accoglienza, la religione (cristiana, ma non soltanto) costituisce il miglior veicolo dei principi di eguaglianza e solidarietà tra gli uomini. Quando si avverte la necessità che i giovani guardino al complesso della vita sapendo resistere alle tentazioni dell’individualismo sfrenato, del ripiegamento su se stessi, della droga, la religione propone le risposte più adatte per la formazione della loro personalità, aprendola al rapporto con gli altri, alle profondità della propria coscienza. Chi sente il bisogno che i giovani crescano con  lo sguardo rivolto al futuro, ai valori della famiglia, dell’impegno per i più deboli, sa che la religione fornisce motivazioni più profonde e solide. L’inserimento della religione cattolica nella scuola non è diretto a trasmettere un semplice bagaglio dogmatico ma a fornire una base etica, culturale, formativa, che trova il posto naturale nella scuola come sede di crescita delle nuove generazioni.C’è un secondo errore prospettico nella sentenza del Tar quando ignora che l’insegnamento religioso è scelto sulla base della adesione volontaria dei ragazzi, e delle loro famiglie, in un contesto multiculturale nel quale la religione è fonte di identità e di conoscenza reciproca. Voler ridurre il frutto di una libera scelta formativa sul piano inclinato della irrilevanza scolastica contrasta con la legislazione attuale e con il diritto dei ragazzi di veder valorizzato il proprio impegno. E contrasta con l’acquisizione, si può dire universale, che la multiculturalità richiede il rispetto della identità di ciascuno, e lo sviluppo del dialogo tra le religioni. Per questo motivo, negli ultimi decenni si è avuta una espansione dell’insegnamento religioso (cattolico, cristiano, ebraico) nelle scuole in quasi tutta Europa, e la sua reintroduzione in molti Paesi ex comunisti. In Italia è stata annunciata la richiesta dell’insegnamento della religione ortodossa, ed è già oggi possibile studiare l’ebraismo, o altre religioni qualora vi sia un numero sufficiente di ragazzi che lo chiedano. Si tratta di un quadro pluralistico che si consoliderà nei prossimi anni, confermando la lungimiranza della scelta del Concordato del 1984, e ignorare questa realtà, o pensare di frenare questo sviluppo multiculturale che sta segnando i rapporti tra le religioni, e tra le nuove generazioni, vuol dire ragionare con vecchie mentalità, rimanere legati ad una fase storica che non esiste più. La critica alla pronuncia del Tar Lazio, quindi, oltre ai profili tecnici, deve contestare quella concezione corporativa della religione, e del suo rapporto con la scuola, che ne è alla base e che ignora le trasformazioni generali che si sono avute in Italia e in Europa. L’insegnamento della religione è oggi un patrimonio comune, della società e della scuola, perché costituisce una base per rafforzare il progetto educativo dei giovani e il rapporto tra culture diverse, entrambi necessari alla crescita armonica della società.