Opinioni

Usa e Francia: crisi eloquenti. Passi senza più sincronia

Mauro Magatti mercoledì 22 marzo 2023

Stati Uniti d’America e Francia – due tra le più grandi e antiche democrazie del mondo – stanno attraversando giorni difficili proprio mentre due grandi sistemi altri rispetto alle democrazie occidentali, Cina e Russia, rafforzano persino ostentatamente i loro legami.

A Washington il ciclone Trump non ha ancora finito di produrre i suoi effetti. Con il tweet di qualche giorno fa, di fronte al rischio di una incarcerazione, l’ex presidente ha chiamato alla mobilitazione i propri supporter: esattamente come fece nel gennaio 2020, Trump non rinuncia a sobillare la folla fino al punto di porre a rischio l’ordine istituzionale.

Al di là di Donald Trump, il problema è quella larga fetta di opinione pubblica statunitense che continua a considerare il tycoon come un interlocutore preferibile all’intero establishment della Federazione. C’è un malumore profondo che circola nella società americana, che Trump cavalca e strumentalizza, nei confronti di élite istituzionali (politiche, economiche e culturali) concentrate sui temi dell’innovazione tecnologica, dei diritti individuali, dell’apertura multiculturale, dell’ambiente. Tutti temi importanti, ma che toccano corde profonde della stessa struttura antropologica. Chi ha attaccato Capitol Hill non lo ha fatto semplicemente per amore del capo, ma per ribaltare un ordine delle cose che trova sempre meno sopportabile. Trump naturalmente non ha rimedi efficaci per ricomporre questa scollatura. Né, in fondo, la cosa gli interessa. Ma sfrutta a proprio vantaggio personale questo ampio serbatoio di disagio sociale fino al punto da minacciare le stesse istituzioni americane.

La situazione francese è molto diversa. Qui abbiamo un presidente che, inoltrandosi nel suo secondo e ultimo mandato, sente di dover portare a termine la riforma delle pensioni in nome e per conto della sostenibilità economica del Welfare francese. Scampato il pericolo di un voto di sfiducia, il presidente Emmanuel Macron è deciso ad andare avanti, sfidando il malcontento che scuote il Paese. Come già accaduto pochi anni fa, sempre sotto Macron, con i gilet gialli, la Francia è ormai da settimane scossa da una mobilitazione che ha portato in piazza milioni di persone. E i cui sviluppi, dopo la decisione del presidente di andare avanti comunque, appaiono incerti. Stando ai sondaggi, al di là di ogni argomento economico, l’iniziativa di Macron è respinta dalla maggioranza dei francesi.

Pur se in un contesto del tutto diverso, quanto accade in Francia fa emergere linee di tensione simili a quelle degli Usa: le ragioni istituzionali non vengono più capite – e qualche volta addirittura rifiutate – dalle persone comuni. Un po’ perché si è in balìa di cattivi maestri – che oggi non sono i più grandi intellettuali ma gli influencer e più in generale i signori dei social – che fanno cultura diffusa aldilà di ogni argomentazione razionale; e un po’ perché le ragioni istituzionali sembrano lontane dalla concretezza della vita di molte persone. Alzare l’età pensionabile è sicuramente ragionevole tenuto conto dei cambiamenti dei processi di invecchiamento. Ma questo risulta insopportabile quando si vive in un Paese dove aumentano le disuguaglianze, dove la ricchezza si concentra sempre di più, dove cresce la fatica di vivere, dove il futuro appare incerto e dominato dai grandi interessi che se ne infischiano dei destini personali.

Forse in questa prospettiva si può capire meglio il disagio che, ormai da diversi anni, sta attraversando i Paesi avanzati. Tramontata la speranza di una crescita illimitata, le democrazie sviluppate faticano a immaginare un avvenire desiderabile verso cui tendere insieme. Eccetto che per una innovazione talmente rapida e divorante da inquietare l’animo di molti. Soprattutto nel dopo pandemia.

Chi guida le nostre società segue la stella del cambiamento tecnologico ed economico, visto come unica via di salvezza rispetto alle tante sfide che abbiamo davanti. Mentre le persone comuni arrancano anche perché nella loro vita concreta aumentano instabilità, fatica, incertezza. Ed è in questa sconnessione tra il discorso istituzionale sempre più arroccato in astrazioni lontane dalla realtà e la vita concreta delle persone e delle comunità che si incunea quel disagio che rischia di mettere a repentaglio le democrazie contemporanee.

Al di là di ciò che si vede in superficie, ci troviamo di fronte a una questione profonda che va presa sul serio. Il tema è lavorare per non radicalizzare questa tensione, ma piuttosto per affrontarla e, se possibile, risolverla. La tecnologia, la scienza, l’economia sono conquiste preziose. Ma il passo del popolo – tanto sia sul piano sociale che su quello culturale – segue un ritmo diverso. Per superare la crisi che le attanaglia, le democrazie devono prima riconoscere questa discrasia e poi, un po’ per volta, lavorare per ricomporla. È una lezione che vale anche per l’Italia.