Opinioni

La nuova legge. Unioni civili, ora e sempre resilienza

Francesco D'Agostino giovedì 12 maggio 2016
Tranne rare eccezioni, i fautori delle «unioni civili» sono esultanti: la definitiva approvazione, a colpi di fiducia prima al Senato e poi alla Camera e dunque senza un sacrosanto e libero dibattito nelle sedi proprie, del disegno di legge Cirinnà-Lumia appare ai loro occhi alla stregua di un evento storico, di un primo e decisivo passo verso il necessario allargamento dell’orizzonte dei diritti umani. Per converso, tranne anche in questo caso rare eccezioni, coloro che al riconoscimento legale delle unioni di fatto (eterosessuali od omosessuali che siano) si sono opposti nelle più diverse maniere manifestano sentimenti di sconcerto e ancor più di desolazione, propri di coloro che non possono non riconoscere la sconfitta. Sconfitti sono anche coloro che, in particolare da queste pagine, avevano auspicato una «via italiana» alla regolazione «solidale», ma limpidamente «non matrimoniale» dei rapporti tra persone dello stesso sesso. E alla presa d’atto che una battaglia è stata perduta si unisce il timore che, rotta pure questa "diga", quel che resta del matrimonio come istituzione civile venga travolto, con esiti per alcuni insanabilmente negativi, per altri apocalittici, per tutti seri e, in certa misura, drammaticamente imprevedibili.È facile prevedere, invece, quali saranno le prossime mosse di ambedue gli schieramenti: per il primo la partita da giocare sarà quella dell’approvazione della stepchild adoption nelle unioni tra persone dello stesso sesso, anticamera della legalizzazione di una pratica sconvolgente come la maternità surrogata (che in barba al limpido divieto vigente in Italia una serie di sentenze giudiziarie ha cominciato a "istillare", goccia a goccia, nel nostro ordinamento) e della definitiva assimilazione "egualitaria" delle unioni gay a quelle coniugali. Per il secondo si potrebbe far riferimento allo slogan (sia pur nato e usato in ben altro contesto) resistere, resistere, resistere. Le possibilità di fare resistenza da parte di chi lotta per la famiglia – che molti definiscono "tradizionale" e che noi, Carta vigente alla mano, preferiamo chiamare "costituzionale" – possono essere diverse e utilmente creative. Pare altrettanto utile, però, segnalare con franchezza che non appaiono tali la prospettiva – evocata da alcuni – di una battaglia referendaria per abolire totalmente la nuova legge né quella di fare appello all’obiezione di coscienza di quanti saranno chiamati a registrare (non a celebrare, come qualcuno pretenderebbe) le unioni civili previste e regolate dalla legge: non è questa la strada maestra lungo la quale sviluppare un impegno "contro" nessuno, "per" la famiglia e "per" un umanesimo che custodisce l’originalità della persona.Da una parte e dall’altra, quindi, c’è un ribollire di progetti, prospettive, appelli propagandistici, attivazione di nuovi movimenti e invenzione di nuove forme di impegno. Come valutarle? Dato che siamo sul piano della politica, la prima valutazione non potrà che essere per l’appunto politica e quindi, inevitabilmente, provinciale. Questa però non è una critica, ma una delimitazione di campo: si combatte in Italia (nel Parlamento, nelle piazze, nei salotti, meno nelle parrocchie, per la verità) una battaglia che non è nata in Italia e che in Italia non si concluderà. Siamo di fronte agli esiti inevitabili (e non conclusivi) delle dinamiche della secolarizzazione, che hanno modificato e continuano a modificare radicalmente l’immagine della società civile, fondata sull’istituzione del matrimonio, che ha caratterizzato per secoli l’Occidente cristiano.Chi è convinto – come chi scrive, e come chi dirige e realizza questo giornale – che al di là di variabili tutto sommato estrinseche il matrimonio e la famiglia hanno un fondamento non meramente storico-politico, ma antropologico-strutturale, recepirà con sofferenza e preoccupazione gli stravolgimenti di cui l’uno e l’altra soffrono a causa della secolarizzazione. Ma si dichiarerà anche convinto che matrimonio e famiglia sono incredibilmente "resistenti" e resilienti e che supereranno la prova della secolarizzazione, se è vero, come è vero, che il bene umano può essere aggredito e stravolto, ma non può essere vittoriosamente confutato o meno che mai definitivamente soppresso. Per chi invece è ottimisticamente convinto del contrario, gli anni che stiamo vivendo sono quelli di una colossale sperimentazione della possibilità di dar vita e consistenza a nuove relazioni interpersonali parafamiliari e a giochi senza frontiere, inevitabilmente e pesantemente funzionali al mercato, sulle frontiere della vita nascente e dell’utilizzazione (e frammentazione) dei corpi umani.La storia, di simili sperimentazioni, sia pure in altri ambiti (soprattutto economici) ne ha conosciute diverse, che non hanno prodotto altro frutto se non quello di folli esaltazioni per pochi, pochissimi, e di molteplici sofferenze per molti, moltissimi. Noi siamo chiamati a essere testimoni di una di queste sperimentazioni, forse la più estrema, anche se, per nostra fortuna, a basso portato di violenza diretta. Non possiamo distrarci: dobbiamo osservare, valutare, giudicare e, ogni volta che sarà necessario (e nel caso dell’affitto dei corpi di donna necessario già è), condannare in modo conclusivo e inappellabile le illusioni di chi pensa di poter prima decostruire politicamente e poi ricostruire ideologicamente il contesto della famiglia. Ma soprattutto, come questo giornale ha scritto e riscritto anche negli ultimi mesi, non possiamo che vivere in modo buono e giusto la famiglia. Nessuna legge, anche quella peggio costruita, può impedircelo, nessuna regola può chiuderci la via, nessuna norma – oggi come ieri – può davvero impedirci la resistenza, questa necessaria resilienza.