Opinioni

La morte di Prigozhin. Una possibilità alla misericordia negli ultimi dieci secondi

Marina Corradi sabato 26 agosto 2023

L’Embraier F35 era decollato da poco da Mosca. Le sei di sera, forse l’hostess aveva già servito un drink, e qualcuno dei passeggeri aveva magari soppesato con lo sguardo quella bella giovane donna. Ognuno con i propri pensieri in testa, ma calmi: si andava a San Pietroburgo, ordinaria amministrazione. La faccia coriacea del Capo assorta nel filo segreto dei suoi pensieri. Cielo azzurro, solo qualche nuvola. Il jet volava a 24mila piedi di altezza, fiero.

Di colpo: scompare dai radar come un uccello fulminato in volo dal tiro di un formidabile cacciatore. Da una dacia qualcuno filma la caduta. Dieci secondi? Non di più all’impatto, al boato di tuono, alle fiamme che divampano nella verde quieta radura di Tver. Dieci secondi per morire. I due piloti e la bella hostess, e sette della Wagner, fra cui, pare certo, il Capo. Evgenij Prigozhin, 61 anni, nato povero, condannato già all’età di vent’anni per sfruttamento della prostituzione. In galera a formarsi, e poi fuori. Un duro. Un genio a far soldi, ma anche un giullare di corte, uno capace di far ridere lo Zar, che ride così poco. Amicizie mirate e preziose, 20 miliardi accumulati di patrimonio. Poi, dal legame con Putin, si fa condottiero: Brigata Wagner. Faccende non proprio in linea con il diritto internazionale. Dall’invasione del Donbass nel 2014 alla guerra in Siria, al Libano, all’Africa da sfruttare – popoli, diamanti, minerali rari. Mercenari capaci di tutto in teatri disfatti da guerre e atrocità. «Sono in Africa, 50 gradi, tutto quello che mi serve», diceva soddisfatto Prigozhin in un messaggio di pochi giorni fa, la maschera di rughe che tentava un sorriso. ( Ad appena 200 chilometri da Mosca era arrivato con i suoi, il 24 giugno, il mondo col fiato sospeso.

Ma Putin lo aveva graziato. Dunque, Prigozhin si doveva sentire invincibile). Due mesi esatti da quel giorno. La traiettoria del jet tranciata come da una lama. Sabotaggio, o una bomba? Il cuore a mille, l’incredulità prima, poi la rabbia: chi ha tradito? Ma già più non conta. E quei 20 miliardi? Già sono solo cenere. Forse negli occhi del condottiero attonito si affollano immagini: mercenari ventenni massacrati, civili imploranti, fame, sete. Bambini, polvere, bombe, rombo di carri armati. Si dice che negli ultimi momenti si riveda la vita intera.

C’è la madre, Violeta? Non si trova sul web una sola foto di Prigozhin bambino. L’ho cercata: per cercare di capire come da un viso innocente si arrivi, giorno dopo giorno, a una faccia da paura. Dieci secondi, un niente. Ci stanno dentro ancora però, stranamente, gli occhi di una sconosciuta madre in una casa distrutta, che lo fissavano. Chissà dove, chissà perché proprio quella donna. Dieci secondi bastano per una bestemmia, ma, per qualcosa d’altro? Umanamente diresti di no. Ma Dio, signore del Tempo, ne dilata la trama, se vuole.

Lo schianto, le fiamme rosse divoranti nell’imbrunire russo, il sangue. Non sembra un’immagine dell’inferno, quel fuoco? Resta però, come un’incognita, il decimo secondo. Una scheggia di istante: «Misericordia». Può un feroce condottiero di mercenari infine dire questa parola? Tanti vi risponderanno di no, che sarebbe troppo comodo. Eppure una speranza resta. Per via di quei dieci secondi, che sono un nulla o forse, nel Tempo di Dio, sono abbastanza.