Opinioni

Le mosse del Cremlino. Una piccola Yalta è l'obiettivo di Putin

Giorgio Ferrari sabato 24 aprile 2021

Ma cosa vuole Vladimir Putin? A quel suo inesorabile automatismo che alterna minacce a lusinghe, a quella sua geopolitica muscolare, testosteronica, figlia di un nazionalismo riconquistato e riaffermato grazie a una tecnica predatoria coronata da indiscutibile successo (la Crimea, la Georgia, il Donbass, i porti franchi siriani e le basi militari nel Mediterraneo) siamo oramai abituati.

Anche se negli ultimi giorni quell’ostentata 'linea rossa' da non valicare, quei centomila soldati ammassati lungo la frontiera con l’Ucraina e ora improvvisamente ritirati, quelle spettacolari manovre dell’intera flotta di sommergibili del Mar Nero davanti alle acque della Romania (cioè della Nato) hanno fatto temere che qualcosa sfuggisse di mano e fossimo alla vigilia di un’escalation militare alle porte d’Europa. Perfino il passo indietro nei confronti di Aleksej Navalny in sciopero della fame da ventiquattro giorni e trasportato in un ospedale per detenuti e visitato da medici indipendenti come chiedeva a gran voce l’Occidente fa parte di un canovaccio che sostanzialmente conosciamo.

Così come non si fa fatica a immaginare che il contingente militare dislocato attorno al Donbass potrebbe tornare in brevissimo tempo e in piena efficienza, visto che le armi pesanti sono rimaste sul posto; allo stesso modo in cui lo stesso Navalny, qualora venisse dimesso perché fuori pericolo, tornerebbe immediatamente nella colonia penale di Pokrov. Di Putin – di quell’ex agente del Kgb dislocato a Dresda, poi salito agli onori della cronaca a Leningrado, quindi a sorpresa delfino dello screditato Boris Eltsin e da allora per vent’anni ininterrotti al potere, con l’intenzione (visto che ha rimaneggiato la Costituzione) di rimanervi fino al 2036 – sappiamo in fondo quasi tutto.

Ciò che ancora non sappiamo con certezza – benché tra le righe lo si possa intravedere – è che cosa voglia realmente. Il fatto che non abbia eredi designati già ci dice che si considera a suo modo immortale. Ma proprio questa rappresentazione di un potere inscalfibile ed eternizzato nelle sue cerimoniose liturgie (si veda il soporifero discorso alla nazione dei giorni scorsi per averne conferma) è lo specchio della sua debolezza. Non limitiamoci al numero – peraltro raggelante e inimmaginabile per una vera democrazia – degli arresti ogni qual volta la gente scende in piazza per solidarizzare con il dissidente Navalny: sono centinaia, ma gli scontenti in tutta la Russia sono milioni.

Brontolano, si agitano, si sentono smarriti, impoveriti, preda di una millenaristica paura del domani: il tocco magico del grande condottiero sembra essersi dissolto, lui stesso, asserragliato nella torre d’avorio del Cremlino, non sa più parlare a tutti i russi, finendo per somigliare sempre più a quella vecchia e letargica icona dell’Unione Sovietica che fu Leonid Breznev. Cosa vuole dunque Putin? Vuole contare nel gran teatro del mondo.

Vuole sedersi al tavolo dei grandi e redimere se stesso e la nazione dal terribile sospetto-certezza di essere scivolata in serie B, scavalcata dalla Cina nel ruolo di unica superpotenza in grado di misurarsi con gli Stati Uniti d’America. Barack Obama per primo aveva 'declassato' Mosca a potenza regionale. Ora alla Casa Bianca c’è Joe Biden. Un altro presidente democratico, che a differenza del suo predecessore Trump sembra molto meno disposto a fare sconti a chicchessia, ma al tempo stesso è programmaticamente disponibile a trattare. Soprattutto con gli avversari, anche con uno come Putin, a cui ha dato (indirettamente) dell’«assassino» non più tardi di qualche settimana fa.

Non per nulla l’ha invitato a un incontro al vertice, che in parte gli restituisce la dignità di interlocutore privilegiato e in parte – quella più sostanziale e più decisiva – lo coinvolge nel tentativo di riassetto degli equilibri internazionali che oggettivamente necessitano di urgente manutenzione: dalla trattativa sul nucleare con Teheran al ruolo della Nato, dalla cintura degli ex Paesi-satellite dell’Urss alla situazione dell’Ucraina, dalla Siria da ricostruire al Donbass, alla politica energetica, fino al controllo degli armamenti. Funzionerà? Sarà possibile? Un’intesa a tutto campo con Putin potrebbe essere una grande occasione per Biden e per tutta l’Europa. Anche se questa piccola Yalta che in molti già vagheggiano avrà il suo prezzo in termini geopolitici. Compreso quello di allungare la vita allo zar di tutte le Russie.