Opinioni

Una cruciale domanda. Natura di M5s e Lega e nuova fase

Marco Olivetti mercoledì 21 marzo 2018

A ormai due settimane dal voto del 4 marzo, è sempre più evidente che non sono state elezioni come tutte le altre. Si è trattato di un terremoto, della prova provata di una «rivoluzione in corso», come qui si è subito commentato, e non solo della (fisiologica) sconfitta dei partiti di governo e, prima di tutto, del Pd. Certo, non sappiamo se dalle elezioni deriverà davvero un cambio di paradigma: perché questo avvenga il risultato dovrà consolidarsi e i «vincitori insufficienti» di oggi dovranno diventare forze egemoni di un nuovo sistema politico, mentre la storia comparata ci mostra casi di watershed elections (elezioni spartiacque) che hanno sconvolto lo scenario politico, ma sono poi state assorbite dal sistema: un buon esempio sono le elezioni canadesi del 1993 e del 2011, che segnarono il tracollo dei due partiti storici (conservatori e liberali), poi tornati dopo qualche anno nel ruolo di protagonisti.

Prima di chiedersi se siamo all’inizio di una nuova era politica, occorre allora farsi un’altra domanda: i partiti che hanno prevalso, in particolare Movimento 5 stelle e Lega – indubbiamente portatori di novità quanto a ceto politico, programmi e messaggi –, sono realmente partiti antisistema, se misurati coi parametri del "sistema" attuale? Si tratta, in altre parole, di partiti "anticostituzionali"?

Per rispondere a questa domanda – che non può essere facilmente elusa evocando l’ampio sostegno popolare ai partiti in questione, dato che la storia è piena di partiti antisistema ingrassati da enormi consensi – bisogna liberare il campo da un approccio ingenuo. Non si tratta di chiedersi se quei partiti contestino questa o quella disposizione specifica della Costituzione, questa o quella caratteristica complementare della nostra Carta (o, peggio ancora, se siano favorevoli o contrari alle riforme costituzionali). La domanda va posta in maniera adeguata ai tempi: oggi, infatti, possiamo definire un «partito anticostituzionale» una forza politica che si proponga – con programmi, ceto dirigente e stili comunicativi – di sovvertire l’impianto di fondo della nostra Carta, letta nell’attuale stadio di sviluppo dell’integrazione europea e nel contesto internazionale in cui si situa l’Italia. Per intenderci: un partito che proponesse l’uscita da Unione Europea e Nato sarebbe, oggi, «antisistema» quanto un partito che volesse restaurare la Monarchia o introdurre la segregazione razziale o un regime a partito unico. Il sistema, infatti, non è più solo nazionale e ormai da molto tempo la Costituzione italiana non si identifica più solo con i – pur imprescindibili – 139 articoli che la compongono.

Dopotutto, la storia dell’Italia pre-1992 dimostra che i timori verso il Partito comunista non erano tanto fondati sulla sua possibile alterità rispetto a una Costituzione di cui era stato uno degli autori, ma rispetto ad possibile stravolgimento da parte di un governo a guida comunista dei caratteri del regime politico italiano, anche dal punto di vista della sua collocazione internazionale.
In quest’ottica, si può capire che il problema della possibile natura «anticostituzionale» di M5s e Lega non è affatto peregrino. E il sospetto di anticostituzionalità può essere anche ritenuto ben fondato se si guarda ad alcune fasi della storia di questi due movimenti politici: si pensi al secessionismo di alcune fasi della Lega bossiana (cosa c’è di più anticostituzionale della rottura dell’unità nazionale?) e alla cultura istituzionale rousseauviana che impregnava i pentastellati della prima ora, gravida di ostilità verso la rappresentanza politica e i partiti – cardini della nostra democrazia – in nome di una nostalgia della democrazia diretta rideclinata in salsa digitale. Il dubbio è se questi elementi problematici siano ancora presenti oggi: certo essi non sono del tutto scomparsi, ma il restyling imposto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini alle rispettive forze politiche ha stravolto i tratti iniziali delle formazioni fondate da Beppe Grillo e da Umberto Bossi.

Cosa resta, dunque, della loro pregressa «anticostituzionalità»? La domanda è complessa e la risposta non può essere data qui: è cioè necessario riflettere accuratamente e solo il tempo ci dirà se la natura «antisistema» dei vincitori del 4 marzo potrà essere assorbita, mediante una loro piena costituzionalizzazione. Tale domanda, e le ipotesi di risposta, dovrebbero però essere tenute presenti nel ragionare sulle strategie di breve e medio termine.

Se, ad esempio, si ritenesse che Lega e M5s siano forze – in qualche modo – «antisistema», la strategia del loro 'avvolgimento' in un governo di tutti, a guida istituzionale, dovrebbe forse avere la priorità, al fine di annacquarne le potenzialità di eversione del sistema stessa. E andrebbe evitato un (niente affatto facile) governo Di Maio-Salvini, che metterebbe assieme, nella stanza dei bottoni (ove, peraltro, come ebbe a scoprire Nenni nel 1963, «i bottoni… non ci sono»), due forze 'eversive'. Se, invece, i vincitori del 4 marzo dovessero essere intesi solo come «forze nuove» – simili a quelle che periodicamente svuotano e rinnovano le democrazie rappresentative, anche se non sempre arrecando contributi positivi – allora la via auspicabile dovrebbe essere la loro sottoposizione alla 'prova di fuoco' del Governo, in uno dei vari modi resi possibili dall’assetto parlamentare partorito dal voto.