Opinioni

Il viaggio della vita. Nespoli: «Io, extraterrestre a 28mila chilometri orari»

Lucia Bellaspiga giovedì 13 luglio 2023

Il famoso astronauta Paolo Nespoli

“Viaggiando a 28mila chilometri orari e a 400mila metri di altitudine, il mondo diventa tutta un’altra cosa. È come osservare un quadro di Monet, se sei troppo vicino non capisci nulla: da lassù vedi cose che qui sulla Terra neanche immagini…”. L’incontro con l’astronauta Paolo Nespoli (tema “il viaggio della sua vita”) è tutta una sorpresa, a iniziare dall’appuntamento: un ingegnere aerospaziale non ti manda un indirizzo, ti invia le coordinate. Così, con l’aiuto del navigatore, ci si vede in centro a Como, sua terza casa da quando è rientrato definitivamente dalla Città delle Stelle di Mosca e dal Centro Nasa di Houston, i due luoghi in cui si è allenato per vent’anni. Sommando le missioni, ha trascorso nello spazio 313 giorni, 2 ore e 36 minuti, “al momento l’astronauta più longevo per permanenza nello spazio a livello europeo” (dal sito dell’Agenzia Spaziale Italiana).

“Anche il sorriso della Gioconda lo contempli se ti allontani, altrimenti vedi solo i dettagli”, riprende Nespoli. In pratica la visione d’insieme del pianeta sbriciola le nostre miopi certezze: “A 28mila all’ora fai il giro del mondo in un’ora e mezza. Vuol dire che in un’intera giornata vedi sedici albe e sedici tramonti”. Mentre, sognante, pensi al Piccolo Principe e al suo asteroide, Nespoli ti riporta al concreto: “Sì, bello, ma mentre sulla Terra di notte il buio dura ore, a bordo della Stazione spaziale finite le 12 ore di lavoro vai alla cupola, guardi di sotto e se vedi tutto nero aspetti dieci minuti e diventa giorno… o se vedi tutto candido perché stai sorvolando un luogo in cui è inverno, attendi qualche minuto e diventa primavera. Il mondo ti cambia in continuazione sotto gli occhi e all’inizio non è facile, poi acquisisci una capacità extra terrestre di orientarti… Per fortuna la razza umana non è dotata di un sensore di velocità, quindi non ti accorgi di volare a velocità folle” (anche noi sulla Terra sfrecciamo nell’universo ma ci sentiamo fermi).

Pian piano ci si abitua anche a “galleggiare” (in realtà gli astronauti e tutta la Stazione sono in continua caduta libera, attratti dalla gravità verso il centro della Terra, ma non precipitano mai perché in costante equilibrio lungo la curvatura del pianeta), “devi imparare comportamenti extra terrestri, sulla Terra se versi il caffè cade nella tazza, nello spazio fluttua e lo agguanti con la bocca. E se ti appisoli ti risvegli in verticale o a testa in giù”. Ma c’è una cosa che ancora, dopo anni, turba l’astronauta (“e qui – avverte – entriamo in un’area indefinibile”), il fatto che “lassù non senti il tuo corpo: sulla Terra sei appoggiato – spiega meglio –, ma se non puoi avere i piedi sul pavimento né stare a contatto con la sedia succede qualcosa di pazzesco…”. Noi siamo fatti di due entità, dice, una corporea e una metafisica, “chiamiamola coscienza oppure anima”, e nello spazio “paradossalmente sei solo anima, il corpo non c’è, basta la spinta di un mignolo sulla parete e voli lontano, se scrivi al computer le molle sotto i tasti ti rimbalzano via…”. E allora eccola la “condizione metafisica veramente forte”, tale da sconvolgere la razionalità dell’ingegnere aerospaziale, “vai alla cupola, la apri, guardi la Terra, ma non è il tuo corpo che la guarda, è la tua coscienza, una cosa bellissima!”.

A quel punto non puoi non interrogarti su “Chi” ha organizzato tutto questo, “tra colleghi ne parliamo spesso, alcuni che sono credenti trovano nello spazio ulteriore conferma di Dio, altri al contrario ci trovano la prova che la scienza basta a spiegare tutto, io sono a metà strada”. Memorabile è il collegamento dalla Stazione Spaziale Internazionale con Francesco nel 2017, “mi faceva domande impegnative e io boccheggiavo, stavo parlando con il papa! Così gli dissi ‘Santo padre, sono solo un ingegnere, la invitiamo qui e poi ce lo dice lei come vede le cose. Noi qui capiamo che c’è qualcos’altro ma non riusciamo a mettere i paletti. Capiamo che c’è qualcosa che non capiamo’ ”.

Da lassù, continua Nespoli, è lampante che i confini tra le nazioni non esistono e le guerre, qui studiate sui libri di storia con date ed eroi, sono solo formiche che si azzuffano. “Dallo spazio vedi bene che l’unico muro esistente è l’atmosfera che ci separa dal vuoto dell’universo”, il resto è invenzione. È bellissima e delicata, densa negli strati bassi e sempre più rarefatta man mano che si sale, “non finisce, sfuma. Fin quasi all’infinito”. Ed è come un polmone, d’estate si gonfia, in inverno si restringe. “Se non ci fosse non esisteremmo, eppure non ci preoccupiamo di preservare questa ‘pelle’ incredibile comune a tutti gli uomini”.

È dunque questo il “viaggio della vita” per Paolo Nespoli? i suoi 313 giorni fluttuando più leggero di una piuma? Forse i sei mesi consecutivi sulla Soyuz, unico “straniero” selezionato tra i 5 russi e statunitensi? La domanda parrebbe scontata... “No”, risponde invece, “penso piuttosto ai periodi di addestramento”. Negli ultimi anni, da quando le missioni sono diventate di lunga durata, gli equipaggi hanno dovuto dimostrare di saper vivere in condizioni estreme e in isolamento totale, lavorando in gruppo e risolvendo qualsiasi incidente, dal guasto meccanico al problema medico. “La competizione tra noi è fortissima e per allenarci a questo le agenzie spaziali hanno individuato sulla Terra degli analoghi – così li chiamano –, situazioni e luoghi che costringano a resistere al limite della sopravvivenza, con un compito da eseguire e un obiettivo finale da raggiungere. Siamo stati lasciati in Alaska in mezzo al niente, nel gelo e con il pericolo degli orsi, portando il minimo e sapendo che non avremmo avuto alcuna possibilità di rifornirci: è più rischioso che volare nello spazio”. Oppure in grotte sottoterra, a duemila metri dall’uscita e nel buio perenne…

Forse è questo il viaggio più tosto perché dentro se stessi, alla ricerca del limite massimo: “La Nasa vuole portarti al confine delle tue capacità, anzi un poco oltre, dimostrarti che quello che tu credi il tuo limite non lo è, c’è molto di più che puoi fare e non scoprirai mai la fine”. Vince il confronto non chi sa fare una cosa in modo eccezionale, ma tutte le cose in modo discreto. L’ingegnere segue corsi di medicina, il medico impara ad aggiustare una centralina elettrica… “Quando il pubblico mi dice che sono un grande scienziato, rispondo che sono un grande metalmeccanico spaziale, in grado di fare tutto, decentemente”.

L’altra capacità indispensabile per essere selezionati è saper lavorare in gruppo (bella lezione per noi terrestri): “Su 150 astronauti Nasa ne servivano 7, alcuni erano tecnicamente eccellenti ma poi in team avevano problemi – racconta Nespoli –. Nello spazio è vitale negoziare, devi moderare te in relazione ai colleghi, saper ascoltare l’altro, chi è in volo con te e chi da terra ti dirige, se no succedono disastri… È sulla base di queste soft skills, abilità soffici, che la Nasa individua l’astronauta perfetto, non il più tecnologico ma quello che sa scherzare, che se fai un errore non ti fucila”. Rabbia e paura sono infatti la peggiore compagnia, “se sai perfettamente cosa sta accadendo perché in addestramento lo hai provato, sei cosciente che il problema si supera”. Oltre l’atmosfera non esiste discriminazione, donne o uomini, bianchi o neri, comunitari o stranieri, si è tutti esseri umani legati da fiducia reciproca. “La squadra funziona se tutti sono assolutamente certi delle capacità dell’altro. A ognuno è dato un compito e la somma di tutti i compiti è più alta del livello cui ciascuno può arrivare da solo”, formula che, portata sulla Terra, risolverebbe guerre e dissidi.

Nespoli, atterrato definitivamente cinque anni fa, oggi è in viaggio verso mete ancora più lontane e misteriose (nel 2021 un tumore al cervello lo ha costretto ad affrontare cure devastanti), “ho dovuto abbassare le pretese su me stesso e capire che il corpo è a tempo determinato. Non comprendi ma lo accetti”, confida. E cita una preghiera ascoltata in America: “Signore, dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, dammi il coraggio di accettare le cose che non posso cambiare, dammi la saggezza di capire quali sono le une e le altre, che poi è la cosa più importante”. Il trapianto di midollo lo ha costretto all’isolamento per 26 giorni su un letto, “altro che Alaska o sei mesi sulla Soyuz”, sgrana disarmato gli occhi azzurri.

Sono tante in una, le vite di Nespoli, difficile dire qual è il viaggio più forte, ma potendo sceglieremmo il primo, il più incredibile, l’inizio della sua storia. Aveva 12 anni quando, come tutti i bambini, anche lui sognava di fare l’astronauta e ricevette in dono un libro della Fallaci sulle missioni spaziali. Poi, come tutti, mise da parte quel sogno impossibile. A 27 anni, già incursore dell’esercito, “per un caso, ma qui dovremmo chiederci se il caso esiste, dopo una serie di chiamiamole coincidenze, mi trovai ad avere a che fare con Oriana Fallaci. Mi chiese cosa volessi fare da grande, le risposi che ero già grande e avevo un’ottima posizione. Lei mi fulminò dicendomi che il modo migliore per non realizzare un sogno è non provarci”. Obiettivamente: a 27 anni chi ci proverebbe più? Il giovane Paolo invece si rivolse a Piero Angela e gli chiese come si diventa astronauti… “Mi disse che era difficile, avrei dovuto almeno avere una laurea tecnica e imparare perfettamente l’inglese. Mi licenziai dall’esercito e mi laureai in ingegneria aerospaziale negli Stati Uniti!”. È ciò che va a raccontare per le scuole a migliaia di ragazzi, “abbiate un sogno e che sia impossibile, altrimenti non sarebbe un sogno – afferma con forza –. Poi però svegliatevi e provateci! Probabilmente non succederà, ma qualcuno ci riesce e voi potreste essere quella persona”. L’unico giorno giusto per arrendersi è il titolo del suo ultimo romanzo (ma questo è un altro viaggio…).