Opinioni

ANALISI / LE NUOVE FRONTIERE DELLO STATO SOCIALE. Un reddito a tutti: Svizzera al voto tra i dubbi

Maria Chiara Biagioni sabato 4 giugno 2016
Tecnicamente si chiama 'reddito di base incondizionato' (Rbi). Concretamente è un reddito di almeno 2.500 franchi svizzeri al mese (pari a circa 2.260 euro) dato indistintamente a tutti i cittadini maggiorenni. Che si lavori o meno. Ricchi e poveri. Dalla maggiore età fino alla morte (per i figli minorenni l’importo dovrebbe essere inferiore e aggirarsi attorno ai 625 franchi, circa 560 euro). In tempi di crisi e austerity sembra un’utopia, invece in Svizzera potrebbe diventare realtà. Domenica 5 giugno, mentre in Italia la battaglia elettorale si giocherà sulle amministrative, al di là delle Alpi i cittadini della Confederazione elvetica saranno chiamati a esprimersi su una proposta di iniziativa popolare che, se approvata, farebbe della Svizzera il primo Paese a cambiare radicalmente il sistema di welfare perché il reddito di base sostituirebbe molte delle prestazioni sociali tradizionali. Alle urne i cittadini svizzeri troveranno altri 4 quesiti a cui rispondere, ma qui in Italia il dibattito sul reddito di cittadinanza è andato a toccare i 'sogni' forse più segreti di molti italiani. L’iniziativa popolare chiede alla Confederazione di istituire un reddito di base incondizionato affinché – si legge testualmente nella proposta – «tutta la popolazione possa condurre un’esistenza dignitosa e partecipare alla vita pubblica, anche senza esercitare un’attività lucrativa». In Europa, solo in Finlandia si era arrivato a tanto con una proposta presentata nei mesi scorsi dalle autorità e ancora in via di definizione, di erogare mensilmente 800 euro non tassabili per ogni adulto, indipendentemente da altri redditi percepiti.  Dunque la vittoria del Sì sarebbe scontata? Niente affatto. In Svizzera non è così. Tutti i sondaggi indicano che la maggioranza dei votanti respingerà la proposta e l’ultimo, realizzato da gfs.bern, rileva che il 71% è contrario, il 26% favorevole e il 3% indeciso. Anche gli intervistati con un reddito basso, ovvero meno di 3.000 franchi al mese, non si dimostrano entusiasti: il sostegno all’iniziativa ha perso, in questo caso, il 10% dei voti ed è ora al 31%. Che cosa non convince l’elettorato? Intanto l’ammontare del reddito. L’ipotesi di una rendita mensile di 2.500 franchi (2.260 euro) per gli adulti è una cifra che può impressionare gli italiani, ma in un Paese ricco come la Svizzera si tratta di una cifra di poco superiore alla soglia di povertà. «Non è tutto oro quel che luccica», sentenzia Renzo Sbaffi, direttore del Corriere degli italiani, che per spiegare il contesto svizzero fa subito un esempio: un appartamento in affitto a Zurigo può arrivare a costare anche 2.500 franchi al mese. Inoltre, l’introduzione del Rbi comporta un costo di realizzazione molto elevato. Si parla di circa 208 miliardi di franchi, equivalente ad un terzo del Pil dell’intero Paese e per finanziarlo si ipotizza un aumento dell’Iva e delle imposte dirette. Non è un caso che a schierarsi contro la proposta siano stati il Consiglio federale e il Parlamento, proprio per l’aumento delle tasse che l’iniziativa comporta. Il Consiglio nazionale ha respinto la proposta con 157 voti contro 19 e 16 astensioni, il Consiglio degli Stati (il Senato) con 40 voti contro 1 e 3 astensioni. «Di solito – spiega Sbaffi – la popolazione segue le indicazioni date dal governo». L’iniziativa popolare non regola i dettagli. Esprime piuttosto dei principi generali da inserire nella costituzione ed è quindi per sua natura 'generica'. Non si sa quindi esattamente a quanto dovrà ammontare l’assegno. Dovrà poi – in caso di approvazione da parte degli elettori – essere regolato dal Parlamento. L'economista svizzero Luca Crivelli della Supsi di Lugano (la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana) precisa subito che l’idea è quella di dare una sorta di 'reddito di cittadinanza' da non confondere con il 'reddito minimo' che è già presente nel sistema di sicurezza sociale svizzero tramite l’intervento dello Stato attraverso diversi meccanismi di assistenza data a chi non è in grado di potersi sostenere economicamente. Né con la proposta tutta italiana di istituire un 'Reis', un reddito di inclusione sociale, perché in questo caso la misura è rivolta alle famiglie che vivono in povertà assoluta. La proposta svizzera mira invece a dare un contributo universale alla sussistenza. Significa: a tutti, anche ai ricchi, indipendentemente dalla situazione economica, patrimoniale e dall’attività lavorativa. Ed è qui che il meccanismo si inceppa. Perché – chiede Crivelli – se passasse questa legge, «dove si andrebbero a prendere i soldi?». La risposta è uno schiaffo alla ingenuità di pensiero: «Si chiuderebbero tutte le assicurazione sociali». Il Reddito di base incondizionato si sostituirebbe alla maggior parte delle prestazioni sociali, dai sussidi allo studio e familiari, alla assicurazione per la disoccupazione, ecc. «Si passerebbe così da un modello molto differenziato ed articolato, realizzato in base alle esigenze delle singole persone – fa notare l’esperto – ad un sistema appiattito, con uno smantellamento dello stato sociale e una forte semplificazione nella erogazione: tutti prendono indistintamente la stessa cifra, ricchi e poveri. Per alcuni ci potrà addirittura essere un peggioramento, soprattutto nelle frange confrontate con una vulnerabilità multidimensionale (salute, istruzione, reti sociali)». Anche il mercato del lavoro potrebbe avere una reazione negativa se l’iniziativa passasse. Ci si aspetta un abbassamento del salario e l’attività lavorativa sarà verosimilmente remunerata meno rispetto ad oggi perché il prezzo di riserva del lavoro è già abbassato dal fatto che uno dispone di un reddito di cittadinanza da cui partire. Come spesso purtroppo accade, le proposte di cambiamento hanno poi un impatto significativo sulla vita delle donne. Ricevere mensilmente un reddito di base, fa notare sempre Crivelli, «potrebbe virtualmente danneggiare l’accesso delle donne al mercato occupazionale» disincentivando il loro impegno nel lavoro ed incoraggiandole a dedicarsi esclusivamente alla cura della casa e dei figli. Luca Crivelli fa parte della commissione internazionale per un’Economia di Comunione che fa della «dignità del lavoro una bandiera culturale». Il lavoro non può essere considerato solo per il suo aspetto di reddito. È la risposta ad una 'vocazione', è espressione di un talento, innesca dinamiche di relazione. Un discorso che fa molta presa sulla cultura svizzera. Da 150 anni, la Svizzera è chiamata al voto 4 volte l’anno su una decina di questioni che la società civile propone. La soglia per una proposta è relativamente bassa se si pensa che servono 100 mila firme su una popolazione di circa 8,2 milioni di abitanti. In questi ultimi anni anche qui come in Italia e nel resto d’Europa, la battaglia politica si è focalizzata soprattutto agli estremi, e gli estremi in Svizzera hanno visto nelle iniziative popolari uno strumento di campagna politica, con la destra scesa recentemente in campo con la richiesta di chiusura dei minareti e l’espulsione diretta degli stranieri che hanno commesso un crimine, e la sinistra con la proposta di un salario minimo (per chi lavora) un anno fa. Sulla questione del Rbi, né la Conferenza episcopale svizzera né le Chiese protestanti hanno preso posizione perché – spiega al telefono il portavoce dei vescovi svizzeri Walter Müller – l’iniziativa popolare chiede un parere tecnico che non ha implicazioni etiche tali da rendere necessario un pronunciamento da parte delle Chiese. Franco Plutino, presidente delle Acli Svizzera, ritiene invece che l’iniziativa popolare possa «scuotere un pochino le acque sulla tematica del reddito minimo e gettare un sasso nello stagno» per ripensare il sistema assistenziale svizzero.