Opinioni

Il direttore risponde. Speranza per i perseguitati E un premio per Asia Bibi

Marco Tarquinio martedì 21 ottobre 2014
Caro direttore, pare che presto libereranno le più di 200 studentesse nigeriane ancora in mano ai loro rapitori, estremisti di Boko Haram. Recentemente, grazie alle pressioni internazionali e in particolare all’azione del Governo italiano, è stata liberata Meriam, incarcerata e condannata in Sudan solo per il fatto di essere cristiana. Alla ragazza pachistana Malala, islamica e paladina dell’istruzione femminile e per questo nel mirino dei taleban che l’hanno quasi uccisa, hanno assegnato il Nobel per la Pace... In Pakistan, invece, la povera Asia Bibi è stata di nuovo condannata morte nel giudizio d’appello, e continua dopo quasi duemila giorni a languire in carcere, vittima ingiusta prigionia. Cinque lunghi e sofferti anni non bastano ancora, e le autorità di una grande Paese non si risolvono a lasciare finalmente libera una donna, una madre, colpevole solo di essere cristiana. La nostra religione cattolica è molto più tollerante verso tutte le altre
religioni, rispetta e insegna convivere con persone di diversa fede e non si oppone alla costruzione di moschee e di altri luoghi di preghiera sul nostro territorio, senza perseguitare nessuno e tanto meno condannare chi ha una fede diversa da quella della stragrande maggioranza del nostro Paese. Da qui, in modo sempre più accorato, continuo a pregare ogni giorno e non mi stanco di sperare che Dio abbia misericordia dir questa sfortunata donna e che uomini giusti sappiano essere strumento di bene e di libertà anche per lei e la sua famiglia.
Bianca Paci, Roma
 
Certo, possiamo pregare per Asia Bibi, gentile e cara signora Paci. E facciamo la cosa giusta,  perché la preghiera è "arma" regina di ogni persona di fede e di pace. Possiamo pregare e dobbiamo, in ogni altro modo, continuare a tener desta l’attenzione sul triste caso di una perseguitata a causa della sua fedeltà a Cristo. Possiamo e dobbiamo riconoscere, e aiutare a comprendere, il valore della vita di questa piccola e coraggiosa donna pachistana, madre di cinque figli, che da più di cinque anni non vede perché vive in una cella e sotto l’incubo di una condanna a morte per «blasfemia», ma non cede alla tentazione di abiurare la sua fede cattolica. Possiamo e dobbiamo sottolineare l’importanza, anzi l’esemplarità di questa drammatica vicenda per tutti coloro che – credenti o no – hanno a cuore il gran bene della libertà di coscienza e di pensiero, in particolare, della fondamentale libertà di ogni uomo e di ogni donna che vive sulla faccia della terra di professare il proprio credo religioso.
Asia è vittima di accuse pretestuose e cattive e di una legge ingiusta e pericolosa (quante volte abbiamo spiegato sulle pagine di "Avvenire" quali e quanti  frutti amari continui a produrre a danno di persone di diversa condizione e fede, tantissime anche musulmane…). E non sono pochi coloro che hanno a cuore, in Pakistan e nel mondo, la sua sorte. Ma non sono abbastanza. Sembra non essere bastato l’esempio limpido, forte e coinvolgente del cristiano Shabaz Batthi, ministro pachistano delle Minoranze assassinato per aver difeso questa giovane donna, e del musulmano Salman Taseer, governatore del Punjab, trucidato per lo stesso motivo. L’attuale mobilitazione non è infatti comparabile con quella che abbiamo visto in altri casi di condanna a morte – e, anche stavolta, con solare certezza, di condanna a morte di una donna che non ha commesso alcun crimine. Non ne capisco il motivo, e non voglio neanche pensare che per qualcuno la libertà religiosa sia un valore di "serie B", meno importante – ad esempio, e penso a fatti precisi – della libertà sessuale. Anche per questo sono particolarmente grato all’Istituto di Studi Politici "San Pio V" – e al suo presidente Antonio Iodice e al presidente della Corte Costituzionale nonché della Commissione giudicante, Giuseppe Tesauro – per aver deciso di attribuire un premio speciale per la Libertà Religiosa ad Asia Bibi. Verrà consegnato oggi a Roma e mi hanno chiesto di riceverlo in suo nome, da direttore di "Avvenire", giornale che «ha rappresentato costantemente le ragioni della solidarietà» a questa nostra sorella per fede e in umanità. Lo terrò in custodia, assieme ai miei colleghi, nella tenace speranza che Asia possa riceverlo presto direttamente nelle sue mani, salva e libera.