Opinioni

Attacchi a chi non si allinea. Ideologia gender, un problema di civile libertà

Assuntina Morresi venerdì 21 agosto 2015
Attacchi di vip, gruppi Lgbt e media a chi non s’allinea È sempre più evidente l’enorme problema di libertà di espressione che si pone quando si toccano temi 'gender like', cioè - per capirci - che in qualche modo negano che siano il maschile e il femminile a caratterizzare in modo sostanziale la nostra identità di esseri umani. Al di là delle corrette distinzioni dei diversi ambiti di studi in cui si utilizza, con accezioni molto diverse fra loro, il termine 'gender', o 'genere' - dai Gender Studies alla Medicina di Genere, tanto per fare due esempi l’espressione 'teorie del gender' nel dibattito pubblico di questi giorni indica quelle correnti di pensiero che tendono a cancellare la differenza sessuale intesa come duale uomo/donna, fondamentale nella nostra identità umana. È questa differenza a essere messa in discussione, considerata «meramente biologica» e quindi modificabile, come potrebbero essere corporatura, colore dei capelli, etc.  La libertà di espressione entra in questione perché si sta riducendo sempre più lo spazio di discussione libera su queste tematiche, a favore di un clima violento, aggressivo e intimidatorio. Il caso ha voluto che negli stessi giorni in cui il cantante Mika ha denunciato l’imbratto dei suoi manifesti, ricevendo giustamente - unanime solidarietà, io abbia iniziato a pubblicare su un sito internet un libretto che raccoglie le mie opinioni sull’argomento 'gender', idee di cui ho parlato in questi anni durante numerosi incontri pubblici ai quali sono stata invitata. Il testo è pubblico - come tra l’altro tutti gli incontri fatti - e ognuno può verificare se sia o meno offensivo nei confronti delle persone omosessuali. Bene: sedicenti appartenenti alla comunità Lgbt hanno iniziato a riempirmi di insulti, pesanti, volgari e personali, su twitter. Gli stessi che, qualche tweet prima di quelli contro di me, avevano solidarizzato con Mika. Certo, si tratta di personaggi che si qualificano da soli - uno, per esempio, usa anche la parola 'cerebrolesa' come insulto, il che è tutto dire - e su mia segnalazione twitter ha cancellato i tweet con gli insulti più pesanti, che comunque sono continuati, anche se non mi vengono recapitati.  Su tutt’altro livello l’attacco di questi giorni di un noto cantante al sindaco di Venezia: Elton John si è permesso di insultare il sindaco Brugnaro per la sua iniziativa sui cosiddetti 'libri gender' nelle scuole, e dietro a lui si sono mosse testate come il 'New York Times' e il 'Mirror', a 'sbattere il mostro' in prima pagina, in ossequio al politicamente corretto e non invece alla verità dei fatti: l’iniziativa del sindaco, piaccia o meno, è stata l’attuazione di una promessa fatta in campagna elettorale, una campagna evidentemente vinta anche grazie a quella promessa che - è bene ricordarlo - si opponeva ad una iniziativa assunta d’autorità della precedente amministrazione. La consigliera delegata dal precedente sindaco Orsoni ai diritti civili e contro le discriminazioni - nota per voler abolire i termini mamma e papà nella modulistica per l’iscrizione scolastica - aveva infatti promosso il progetto 'Leggere senza stereotipi', che prevedeva la diffusione, negli asili nido e scuole materne di Venezia, di libretti in cui si rappresentavano anche famiglie con due papà o due mamme. Il nuovo sindaco Brugnaro, raccogliendo le proteste di molti cittadini, in campagna elettorale aveva promesso di rivedere il progetto - che aveva suscitato proteste e polemiche - e così ha fatto, lasciando naturalmente i libri nelle biblioteche comunali, ma eliminandone alcuni dalle letture previste nelle classi. Per questo si è ritenuto opportuno insultarlo a livello planetario.  Molti gli episodi analoghi, di intimidazioni e minacce più o meno esplicite di boicottaggio economico, per cui chiunque abbia un’attività imprenditoriale o comunque faccia un lavoro per cui l’immagine pubblica è importante, è sempre meno disposto a dire la sua. È sufficiente leggere la denuncia di John Waters, editorialista dell’ 'Irish Times' che ha guidato la campagna irlandese contro il referendum sul matrimonio gay: è impressionante il clima violento, intimidatorio e aggressivo con cui è stato letteralmente braccato. Ad accomunare questi episodi di intolleranza appena ricordati a tanti altri è l’accusa di 'omofobia', che equivale a quella di 'blasfemia', nella religione dei 'nuovi diritti'. Accusa intrisa, per di più, del linguaggio del politicamente corretto, per cui 'omofobia' non è l’intolleranza nei confronti delle persone omosessuali, ma l’opporsi a una visione dell’umanità in cui non è vero che si nasce da una mamma e un papà, l’opporsi al matrimonio gay o anche solo citare passi del catechismo della Chiesa cattolica.  E come per la blasfemia, per i colpevoli di omofobia c’è la 'morte', in questo caso civile: l’immagine pubblica viene distrutta, a meno di scuse solenni, come quelle dell’imprenditore Barilla, reo di non voler fare pubblicità con coppie gay per i suoi prodotti. Un clima intimidatorio che non va sottovalutato, e che chiede a tutti quel briciolo di onestà intellettuale necessario a bloccarne e stigmatizzarne i fomentatori. Illiberali e irrispettosi della civile libertà altrui.