Opinioni

Politica. Un governo di alto-sinistra se sa svoltare

Fulvio De Giorgi venerdì 6 settembre 2019

Il nuovo Governo italiano è per certi aspetti di centro-sinistra (il M5s, definendosi né di destra né di sinistra, si colloca 'geograficamente' al centro) e per altri – come dire? – di alto- sinistra: il radicalismo dello stesso M5s non porta a un pragmatico centrismo, ma ad una posizione 'alta' (o, come dice e vorrebbe Grillo, 'elevata'), caratterizzata da un idealismo intransigente, talvolta rigido, come la Montagna nella Convention nationale francese del 1792.

C’è da augurarsi che tale Governo di alto-sinistra si dimostri davvero tale dando segni di profondo cambiamento in almeno due ambiti fondamentali. Il primo ambito – da sempre caro a questo giornale e a chi lo dirige – riguarda la dismissione di quei toni tracotanti (un misto di arroganza e di insulto volgare, di sprezzo e di disprezzo) che, con modalità ovviamente diverse, hanno accomunato Salvini, Grillo e Renzi. Va bene che i politici si confrontino in modo aperto e radicale, anche criticando con tono tagliente l’avversario (e anzi è da stigmatizzare il sottrarsi dei leader al confronto televisivo diretto, quando pensano di avere un consenso maggioritario). Non va bene il tono urlante e arrabbiato, insultante e rancoroso, perfino quando dice di non esserlo. Abbiamo avuto un cattivo esempio dato dalla classe dirigente ai giovani, legittimando il bullismo, la violenza verbale e il turpiloquio. Basta, per favore. Ridateci una comunicazione educata, argomentata con calma.

Chi grida non ha per questo più ragione, se mai ha solo più voce. Il secondo ambito di auspicabile svolta (cioè, in realtà, di un ritorno alle linee maestre) è in politica estera. Ne ha ragionato già su queste pagine Riccardo Redaelli. L’Italia, dal suo stesso costituirsi nel Risorgimento, ha sempre avuto i suoi momenti più felici quando è stata al fianco dei grandi Paesi liberaldemocratici: il favore della Gran Bretagna e della Francia è stato fondamentale per l’Unità; alleata con loro e con gli Stati Uniti l’Italia ha vinto la Prima guerra mondiale (raggiungendo – è opportuno ricordarlo – il punto di maggiore importanza mondiale: poi perso con Mussolini); a fianco della Francia, della Germania occidentale e dei Paesi del Benelux ha dato vita alla Comunità Europea.

Viceversa, quando ha abbandonato questa tradizionale linea liberaldemocratica di politica estera (con il crispismo e, soprattutto, con il fascismo) per indirizzi di esibizionismo muscolare, di arroganza prepotente, di forzature, rompendo con gli alleati tradizionali, ha subìto umiliazioni, cocenti sconfitte, perdita grave di prestigio. Il governo Conte I è stato strabico in politica estera: con alcuni che guardavano ancora alla continuità dell’europeismo e altri che si gloriavano di guardare ai Paesi del gruppo di Visegrád e spregiavano l’amicizia di Francia e Germania. Salvini, che si è posto alla testa di questo secondo indirizzo, ha perso politicamente le elezioni europee (pur realizzando un alto consenso sul piano interno), rischiando di spostare l’Italia verso posizioni di marginalità irrilevante e di conseguenti inevitabili penalizzazioni. Ma, avendo egli fatto cadere il Conte I, questa masochistica, autolesionista (e tristemente ridicola) politica estera italiana si è interrotta. Si spera, pertanto, che il Conte II sappia pazientemente ritessere le alleanze tradizionali, ridando all’Italia quel ruolo che le compete.

Non sarebbe male in questo senso (visto che Di Maio è ministro degli Esteri) che i rappresentanti del M5s, eletti nel Parlamento europeo, aderissero a un gruppo francamente europeista. Per dare gambe culturali e politiche a questi auspici, e ad altri ugualmente fondamentali (attenzione ai diritti umani, alla giustizia sociale, a nuovi paradigmi ecologici), ci vogliono un consolidarsi del terreno comune, finora ancora esile, e un irrobustirsi di una cultura dell’intesa e della giusta misura tra M5s, Pd e Leu. A me pare che, per le caratteristiche di ciò che unisce i diversi partner di governo, questo ruolo possa essere svolto, in autonomia, soprattutto da quelle forme associative di cultura politica che si ispirano al cattolicesimo democratico e sociale: la stessa cultura politica del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e del Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. Forse è il caso di ricordare che la tradizione politica che va da Rosmini e Manzoni e da Sturzo e Murri a De Gasperi, Dossetti, La Pira, Bianchini, Lazzati, Moro, Bachelet, Ruffilli, fino a Scoppola e a Ardigò (per limitarsi agli scomparsi) ha coniugato un atteggiamento di serietà, compostezza, senso del dovere e discrezione (il 'grigio' del costume democratico), con un europeismo democratico-popolare fondato sulla dignità umana, cioè sull’umanesimo delle libertà e della giustizia sociale. È da questo grande patrimonio che il governo Conte II – ce lo auguriamo e glielo auguriamo – può trarre la sua linfa vitale per il bene comune dell’Italia, a partire dai più deboli.