Opinioni

La donna sterile diventata madre col trapianto di utero. Il figlio «costruito»: un diritto assoluto?

Michele Aramini lunedì 6 ottobre 2014
In Svezia è nato un bambino da una madre che, non avendo l’utero per una malformazione congenita, lo ha ricevuto a seguito di trapianto da un’amica sessantenne che le ha donato il suo, facendoselo espiantare. Il bambino è nato prematuro il mese scorso. Pare che mamma e bimbo stiano bene. La donna di 36 anni ha le ovaie funzionali, dalle quali sono stati tratti gli ovuli fecondati in provetta per poi impiantare nel suo nuovo utero uno degli embrioni creati. Altri 11 embrioni "soprannumerari" ottenuti in seguito alla procedura di fecondazione artificiale sono rimasti nei congelatori. Queste notizie sono state diffuse con molta enfasi dal dottor Mats Brannstrom, capo dell’équipe medica che ha seguito la procedura di trapianto e di fecondazione. Maggiori dettagli saranno disponibili tra breve sulla rivista medico-scientifica «Lancet», ma già i media di tutto il mondo ieri hanno divulgato i fatti con risalto.Fin qui le informazioni appena giunte, che schiudono una serie di interrogativi. Dovremo infatti abituarci a questo genere di annunci, perché in varie parti del mondo si compiono tentativi sempre più estremi di fecondazione artificiale. Solo come esempio, basti pensare alle ricerche per ottenere l’utero artificiale in modo che la gravidanza diventi extracorporea. Con quale finalità? La necessità di rispettare il comprensibile desiderio di maternità di chi è sterile e i sentimenti dei genitori non ci devono impedire di svolgere alcune considerazioni di carattere etico.Innanzitutto occorre domandarsi chi finanzia queste ricerche, e quanto si spende. Perché se ha un senso – nei giusti limiti – dedicare molte risorse per salvare una vita, quando non si tratta di interventi salvavita il senso della giustizia dovrebbe far indirizzare i fondi verso la salute di chi nel mondo ancora muore per patologie banali curabili con poca spesa. Un secondo aspetto è la donazione dell’utero. Può darsi che una donna aiuti un’amica sofferente. Ma chi è disposto a credere che ci possa essere una corsa di generosità per dare il proprio utero a chi ne ha bisogno? Anche in questo caso è elevato il rischio che siano le donne povere a essere "comprate" da chi può spendere, come già accade per la maternità surrogata. Alla povertà si aggiungerebbe una nuova, impensabile forma di sfruttamento.Un terzo aspetto è relativo al destino degli embrioni soprannumerari, destinati a essere vite spezzate, lasciate in attesa di un impianto che potrebbe non arrivare mai. Infine, appare veramente strano che non si tenga conto della salute del nascituro. Brannstrom si è affrettato a dire che mamma e bimbo sono in buone condizioni di salute. In realtà la madre e il bambino nel suo ventre hanno dovuto affrontare un bombardamento di farmaci antirigetto, che hanno un impatto fortissimo sull’organismo, anche con possibili conseguenze tumorali. Tali effetti collaterali si accettano quando il trapianto è destinato a salvare la vita, ma sono di dubbia eticità quando il trapianto ha altre finalità, come per la madre. Nel caso del bambino l’eticità è esclusa alla radice, perché è stato violato il suo diritto alla salute. Nella fase delicata della gestazione, quando occorre la massima cautela nell’assunzione di qualsiasi tipo di farmaco, la madre ha assunto sostanze le cui conseguenze potranno manifestarsi in futuro. Nessuno si è preoccupato del destino del figlio, ottenuto a ogni costo? Ma ormai sappiamo bene anche questo: contano solo i desideri degli adulti.