Opinioni

Ricerca choc. Avere il coraggio di dire basta ai colpi di testa nel calcio

Francesco Riccardi venerdì 25 ottobre 2019

Avvertenza preliminare: questo articolo potrebbe contenere una grave eresia. Molto più pesante dei tre chilogrammi di tortellini al pollo preparati per la festa di san Petronio a Bologna. Più pericolosa di quella rappresentata dalle statuette Pachamama arrivate dall’Amazzonia e gettate nel Tevere da un autoconvocato difensore (della fede).

Una provocazione eretica sulla più grande e diffusa 'religione' mondiale: il calcio. Più precisamente sul modo di giocarlo: eliminando i colpi di testa. Ecco, lo abbiamo detto. E c’entra, sia chiaro, l’opinione di chi scrive e del direttore che si è fatto convincere a dare spazio alla provocazione, non quella del nostro editore.

Insomma: si può ipotizzare di cambiare le regole dello sport più amato e più popolare nel mondo, fischiando un fallo se il pallone viene colpito di testa? Si possono immaginare partite in cui non ci sono incornate verso la porta, né respinte di capo ai lanci del portiere? Si può quantomeno provare a ragionarci senza scatenare guerre di religione tra tifosi o tra appassionati e no, più di quanto già non ne avvengano?

Al di là delle battute (amare), infatti, la questione è seria. Molto seria, perché riguarda la salute di chi il calcio lo pratica da professionista. Scaturisce da osservazioni che, ormai da anni, hanno constatato come l’incidenza di alcune malattie neurodegenerative colpisca in maniera particolarmente accanita i calciatori.

E da studi scientifici che negli ultimi tempi hanno via via ristretto le possibili cause – il doping, i fertilizzanti per i campi da gioco... – arrivando infine a mettere sotto stretta osservazione proprio i colpi di testa. L’ultima ricerca, pubblicata nei giorni scorsi sull’autorevole New England Journal of Medicine, ha preso in esame oltre 7mila ex-calciatori professionisti scozzesi nati tra il 1900 e il 1976, messi a confronto con una popolazione di 23mila non-giocatori. I risultati sono chiari e molto preoccupanti.

Fra i calciatori professionisti, infatti, si evidenzia una mortalità media 3,5 volte più alta per malattie neurodegenerative (1,7% contro lo 0,5% della popolazione 'non professionista'), un aumento di 5 volte del rischio di insorgenza di Alzheimer, 4 volte per le ma-lattie del motoneurone (tra cui la Sla, quella Sclerosi laterale amiotrofica che ha colpito ad esempio i nostri Stefano Borgonovo e Gianluca Signorini) e doppio per il Parkinson. Il rischio deriverebbe non tanto dai singoli colpi forti presi alla testa, ma dalla elevata frequenza e dal totale degli impatti accumulati nell’intera carriera.

Un dato, viene osservato nella ricerca, che per alcuni versi accomuna i calciatori professionisti ai giocatori di football americano, oggetto di un altro studio dei Centers for diseases control relativo ai frequenti impatti che subiscono. Gli stessi ricercatori dell’Università di Glasgow evitano il terrorismo – il problema non si pone per chi gioca a calcio a livello amatoriale – e sottolineano i benefici per altre patologie che la pratica sportiva, sia moderata sia professionistica, comporta per i calciatori. Soprattutto, ammettono che sono necessari studi prospettici più approfonditi per arrivare a conclusioni certe e definitive. Tuttavia, quei dati sull’incidenza della mortalità per malattie neurodegenerative sono certificati.

E la causa individuata nella ripetizione di micro- traumi per migliaia e migliaia di volte – come avviene per i calciatori professionisti che colpiscono di testa mediamente tra le 6 e le 12 volte in una partita e negli allenamenti dedicano anche 10 minuti al giorno a questo specifico esercizio – è molto più che un mero sospetto. Ecco dunque l’«eretica provocazione» di cui scrivevamo all’inizio: perché non cambiare le regole del calcio – che peraltro nei decenni, anzi nel corso nei secoli ormai, sono mutate molte volte – eliminando i colpi di testa? Certo, lo spettacolo ne soffrirebbe: niente più elevazioni eccezionali e incornate all’incrocio dei pali, basta girate di testa su calcio d’angolo a sorprendere il portiere, presi in contropiede calciatori che hanno fatto del gioco di testa un’arte più ancora che un gesto atletico.

E, però, anche su questo campo non c’è da fare i catastrofisti: eliminare i colpi di testa non significherebbe 'uccidere il calcio', privarlo per forza di cross e lavoro sulle fasce laterali. I lanci lunghi e gli assist potrebbero continuare ad essere calciati. Basterebbe, poi, lasciar scendere stabilmente il pallone a un livello un poco più basso, quello di gambe e piedi, anziché delle teste 'martellate' ripetutamente. Si potrebbe perfino farlo gradualmente, ad esempio decidendo che la nuova regola si inizia ad applicare nei campionati dei ragazzi, poi nelle partire under 16 e via via si sale fino alla Serie A fino ai Mondiali, se mai le federazioni internazionali trovassero un’intesa. Se ne può, almeno, cominciare a discutere. Applicando un semplice principio di precauzione, si potrebbero preservare le future generazioni di calciatori professionisti da malattie terribili come la Sla, l’Alzheimer e le demenze. E questo sì, sarebbe un colpo di testa vincente, un gol decisivo.