Opinioni

Da oggi a Verona il festival della Dottrina sociale della Chiesa. C'è un'altra «visione» e cambia finanza e politica

Claudio Gentili venerdì 14 settembre 2012
​Una volta si parlava continuamente di riforma dell’Onu, oggi la riforma più attesa è quella della finanza internazionale. È forte e poco esplorato nella riflessione dei cattolici il legame tra finanza e vita quotidiana. Oltre alle imprese, sono le famiglie le prime vittime di un sistema finanziario che soffoca l’economia reale e di banche che confondono la fondamentale funzione del fare credito con quella del fare affari. Il miglior modo per occuparsi di politica oggi è avere una vision, un pensiero nuovo sulla finanza, sull’economia, sulla democrazia.La finanza, un vaso di Pandora che ha provocato danni e povertà, ha dunque bisogno di regole nuove. Ce lo ha spiegato un anno fa il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, proponendo un’autorità pubblica universale, che riporti la questione etica al centro del dibattito mondiale. Il secondo Festival della Dottrina sociale della Chiesa (da oggi a domenica 16 settembre, a Verona) chiama a raccolta esponenti delle associazioni cattoliche, del mondo sindacale, della cooperazione, dell’economia e della finanza per dare uno sguardo nuovo sul futuro. La "Cernobbio dei cattolici" non si pone obiettivi di breve periodo, ma vuole riscoprire il piacere della riflessione ponderata e delle soluzioni realistiche ai problemi che abbiamo di fronte dando applicazione ai principi della Dottrina sociale che proprio in questa crisi si rivelano straordinariamente attuali. C’è una rete di persone, poco rumorose ma efficaci, che si ritroverà a Verona; una rete di testimoni che vuole raccontare un’Italia operosa, concreta, innovativa e solidale. C’è un’altra economia nel nostro Paese, che parte dai territori, dalle parrocchie, dai movimenti: è una "economia civile", ispirata dal pensiero sociale cristiano. La ripresa economica ha bisogno di nuove idee che oggi il mercato politico non è in grado di fornire.È sotto i nostri occhi il fallimento delle utopie assistenziali statalistiche e di quelle finanziarie individualistiche. Non ci salverà né la tecnocrazia né il rancore sociale (che pure cresce nel nostro Paese con fenomeni preoccupanti, non solo sul piano dell’ordine pubblico). Non possiamo rassegnarci alla rottamazione del Welfare State ma neppure mantenerne in vita una versione agonizzante e assistenzialistica.L’Italia che viviamo è il frutto di cattive abitudini che non abbiamo ancora superato. Abbiamo confuso la solidarietà con l’assistenzialismo e scambiato la sussidiarietà con l’individualismo più assoluto. Un nuovo pensiero è necessario per passare dal vecchio sistema assistenzialistico che non ci possiamo più permettere a una welfare society capace di aggredire con efficacia le nuove povertà e di produrre nuovo volontariato. Non basta (anche se è necessario) far sentire la voce dell’Italia a Bruxelles, né arginare grazie alla Bce uno spread che non corrisponde ai nostri fondamentali. Occorre tornare ai valori condivisi, ai diritti, certo, ma anche al senso del dovere; al sostegno alle famiglie, ma anche alla nuova imprenditorialità. La ripresa economica è figlia di un cambiamento del concetto di lavoro, di etica, di responsabilità, di giustizia sociale. E dobbiamo avere il coraggio di dire che è pensiero vecchio il pensiero "contro". È pensiero vecchio quello che si annida in molti partiti esistenti, ma anche quello che vogliono venderci come nuovo i corifei dell’antipolitica.Genitorialità, mutualità, cooperazione, investimento, formazione: sono le parole chiave da mettere al centro del dibattito. Perché i vecchi partiti che vogliono rinnovarsi e quelli che nascono non siano otri vecchi c’è bisogno di una nuova cultura politica e di un nuovo senso della coscienza civile. Nel cantiere aperto dell’Italia del futuro i cattolici non stanno a guardare.