Opinioni

Ucraina. Guerra, giorno 43: la Nato, le armi e che cosa vuole dire vincere sul terreno

Andrea Lavazza giovedì 7 aprile 2022

Al giorno 43 la guerra in Ucraina fa i conti con nuove rivelazioni sulle atrocità che le forze russe avrebbero commesso nelle città occupate. Gli episodi si moltiplicano e le prove si accumulano. Il conto delle vittime civili è ancora in crescita. E salgono le voci per un'indagine che individui i responsabili e li porti davanti a un tribunale internazionale. Gli orrori commessi nel Nord dell'Ucraina non possono però fare trascurare quello che sta succedendo nelle altre zone del Paese. Sarà lì che si deciderà per l'evoluzione della crisi. Mosca ha annunciato che è vicina alla "liberazione" di Mariupol, un'espressione oltraggiosa dopo i bombardamenti indiscriminati, gli attacchi contro i civili rifugiati negli edifici pubblici e le enormi distruzioni provocate finora. Tuttavia, dal punto di vista strategico la caduta della città martire potrebbe avere conseguenze importanti. L'Armata russa vuole dilagare a sud-ovest verso gli altri centri costieri fino a Odessa, mentre tenta di chiudere la partita nel Donbass e di chiudere in una sacca almeno metà dell'esercito ucraino a est del Dnepr.

Sono questi i fronti caldi per la resistenza delle truppe di Kiev. E in tale chiave si comprendono gli appelli che il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ha rivolto alla Nato per ulteriori forniture di armamenti. La risposta dell'Alleanza Atlantica, per bocca del segretario Jens Stoltenberg, è stata positiva. Se l'arsenale a disposizione dell'Ucraina sarà più pesante e costantemente rifornito, c'è una possibilità che le sue divisioni reggano l'urto prolungato dell'invasore? O addirittura che riconquistino altri territori?

Si apre a questo punto l'interrogativo su che cosa significhi per le due parti vincere questa terribile guerra nel cuore dell'Europa. Per Putin, che voleva un successo lampo, con la presa della capitale e l'eliminazione di Zelensky, il solo Donbass può non bastare, come si ripete da tempo. Per il Paese invaso, che è riuscito a riprendere, complice il ritiro di Mosca, la zona settentrionale occupata dai russi fin dal 24 febbraio, tenere le posizioni a Est e costringere il nemico a un conflitto di logoramento potrebbe essere un risultato sufficiente per sedersi al tavolo delle trattative in una posizione di non eccessiva debolezza

Ma la situazione sul campo è dinamica e mutevole. Il Cremlino può sfruttare il fattore tempo, avendo maggiori riserve militari e minore pressione dell'opinione pubblica. Kiev, malgrado il sostegno occidentale, ha minore autonomia e non guadagnerebbe nulla dal sacrificare fino all'ultimo soldato per poi trovarsi costretta ad accettare le condizioni imposte da Putin. Perciò diventa fondamentale il ruolo degli "alleati". Indebolire lo Zar prolungando i combattimenti può essere una scommessa rischiosa, soprattutto se non consentirà all'Ucraina di ottenere dei veri risultati nei negoziati che prima o poi dovranno passare a una fase operativa e concreta. Oggi, non sembrano vedersi svolte imminenti. A nessuno, purtroppo, conviene fari passi diplomatici prima che la guerra prenda una piega più decisa a favore di uno dei due belligeranti.

Le ulteriori sanzioni appena varate contro Mosca, l'espulsione dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu, oltre ovviamente alla denuncia dei crimini commessi dai soldati ai danni dei residenti inermi, non scalfiranno la determinazione di Putin a ottenere un risultato da esibire in patria. La strada per indurlo a più miti consigli l'ha indicata di nuovo il Parlamento europeo, votando una risoluzione che chiede lo stop all'acquisto di gas russo.

La chiusura dei rubinetti è ciò che potrebbe prosciugare in tempi brevi le risorse da impiegare nel conflitto e, in prospettiva, per realizzare i sogni espansionistici dell'Impero russo. Un mossa avrebbe anche un valore coerenza: non si può dare armi all'Ucraina per combattere l'invasore che con l'altra mano finanziamo in cambio dell'energia con usata per scaldarci. Dilemmi dai quali non si riesce a uscire. E che diventano sempre più laceranti. Siamo al 43° giorno e l'alba della pace ancora non si vede all'orizzonte.




Consiglio per i diritti umani Onu