Opinioni

Nel presepe dell’Italia e del mondo . Natale «in ostaggio»: tutto si tiene

Marco Tarquinio mercoledì 2 dicembre 2015
Non è la prima volta che in Italia si prova a "prendere in ostaggio" il Natale di Gesù, usandolo per qualche vecchia o nuova polemica anticristiana o riducendolo a bandiera identitaria da agitare contro coloro che nutrono altre fedi. E non è neanche la prima volta che una civile reazione "dal basso" – di mamme, papà e bambini che non si lasciano arruolare in insensate battaglie – riesce a spezzare questi tristi schemi ideologici e mette in crisi gli arruffapopolo di turno. Quelli che, col ditino alzato, sono pronti a intimare ai cattolici di credere, cantare e vivere sottovoce per non disturbare la quiete della società "laica" e quelli che, con lo spadone levato, provano invece a trasformare persino il presepe in arena di gladiatori. Contiamo sulla nostra gente. Perché non abbiamo davvero bisogno di ulteriori terreni di scontro in questo tempo avvelenato dall’odio, dal sospetto e dalla paura. Abbiamo invece vera necessità, alla scuola di Betlemme e del Bambino che è poverissimo «principe della pace», di una maggiore capacità di ascolto e di accoglienza reciproca. E di regole salde. Che non escludono, ma includono e valorizzano tradizioni e novità, e così aiutano a scrivere l’«alfabeto comune» della convivenza senza saltare e dimenticare parole, soprattutto le più antiche e buone nella vita del nostro popolo.Colpisce perciò che, proprio oggi, ci sia ancora qualcuno che pensa e agisce nella convinzione che la pubblica svalutazione delle fedi e la metodica rimozione di feste, tradizioni e simboli religiosi sia la premessa del rispetto e della comprensione tra "diversi". Cancellare il Natale cristiano, ridotto magari al rito commerciale, sarebbe uno dei modi per disinnescare il conflitto con l’islam fondamentalista (l’esilio dal Natale e del Natale e la sua espropriazione politica diventano il segno di una resa valoriale assai più profonda). Eppure la ferita che s’è aperta nella carne d’Europa con gli attentati stragisti di gennaio e novembre a Parigi testimonia l’esatto contrario. Non c’è pace in Francia, nazione che nel nome della laïcité ha concluso che la fede dei liberi (?) cittadini deve risultare invisibile e che le religioni vanno tollerate, come ha scritto con disprezzo pari solo a pregiudizio e miopia "Libération", se e fino a quando «restano inginocchiate nel loculo dell’intimità». È una follia la pretesa di scacciare e schiacciare negli angoli una dimensione così importante della vita personale e comunitaria. È la prova di un altezzoso sonno della ragione, che, si sa, genera mostri. Li stiamo vedendo e sono orribili. Ed ecco che, a un passo da noi, nella iperlaicizzata patria delle libertà, nel nome della «guerra al terrorismo» proprio laici e basilari diritti di libertà vengono ora messi radicalmente in questione. Insieme alla persona credente tocca sempre al cittadino, comunque la pensi. Tutto si tiene nel presepe dell’Italia e del mondo.