Opinioni

Il direttore risponde. Tutto il buono del cemento (e le magagne vanno sanate)

Marco Tarquinio mercoledì 23 luglio 2014
Gentile direttore,
 
nel ringraziarla per lo spazio che ha voluto concedere alla nostra precisazione sull’abuso del termine “cementificazione”, rispondo all’invito del suo giornale per la penna di Antonio Maria Mira a dire di più. Lo faccio anche per la percezione distorta del nostro settore che prevale nell’opinione pubblica e negli organi di stampa. Vorrei a tale proposito sottolineare tre aspetti. Il primo riguarda la questione della legalità. Credo sia chiaro a tutti che le attività illegali o, peggio, criminali, danneggiano gli operatori onesti. E poiché Aitec (l’Associazione italiana tecnico economica del cemento) rappresenta gli operatori onesti, quelli che rispettano le leggi e le regole del mercato, abbiamo tutto l’interesse a far sì che l’illegalità venga allo scoperto. A tal fine, come Associazione abbiamo promosso nell’ambito del nostro Codice Etico le Linee Guida interne che impongono agli iscritti di introdurre meccanismi di qualifica dei partner commerciali con particolare attenzione alle possibili infiltrazioni criminali. Ciò detto, consideriamo essenziale la funzione di inchiesta che spetta alla stampa e che può favorire l’emergere di casi di illegalità. Il secondo aspetto riguarda il territorio e in particolare l’attività estrattiva, elemento imprescindibile dell’industria cementiera, che ricava dal suolo la materia prima. Su questo mi permetto di dire che abbiamo acquisito una certa esperienza, come testimonia il progetto implementato insieme a Legambiente nella definizione delle “Linee Guida sulle Aree Estrattive” sui principi di sostenibilità che tale attività deve osservare. Infine, un punto sull’uso del cemento. È giusto puntare il dito contro l’utilizzo alle volte improprio che, soprattutto in anni recenti, l’attività edilizia ha fatto di questo materiale. Ricordo tuttavia che, da Pier Luigi Nervi in poi, il cemento è alla base della scienza delle costruzioni in Italia tanto che si può parlare di una “scuola italiana di ingegneria”, con caratteristiche che la distinguono da tutte le altre proprio per il particolare know how acquisito nelle strutture in cemento armato. Questo oggi ci viene richiesto anche all’estero ed è oramai parte del “made in Italy” nel mondo. Confidiamo, egregio direttore, nell’equilibrio che contraddistingue “Avvenire” affinché in futuro venga dato rilievo anche a quanto di positivo c’è nel materiale costruttivo più antico del mondo. Con i migliori saluti,
Giuseppe Schlitzer
Consigliere delegato Aitec
 
Purtroppo, gentile dottor Schlitzer, la cronache in queste settimane hanno continuato a segnalare casi più o meno gravi di infiltrazioni malavitose anche nel settore cementiero e una lotta condotta a colpi (così anche negli ultimi giorni) di sequestri di attività per un valore di centinaia di milioni di euro. Credo che lei ne sia allarmato quanto l’ottimo collega Mira e me. Mi fa inoltre piacere segnalarle che “Avvenire” ha dato spazio più spesso di quanto lei creda a iniziative importanti e preziose degli associati Aitec o comunque di imprese del settore. E continuerà a farlo, soprattutto quando ci sono buone pratiche da raccontare e modelli positivi da proporre. Aggiungo solo, con serena franchezza, che sono sempre più consapevole e convinto del fatto che questo nostro Paese non riprenderà la via dello sviluppo, e dello sviluppo equilibrato e quindi sostenibile e duraturo, senza una seria capacità di scorgere e sanare – senza critiche distruttive ed eccessi di suscettibilità – le magagne che ci sono anche nei settori nei quali operiamo direttamente. Il suo come il mio.