Opinioni

Riforma Rajoy e ingerenza francese. Troppo aborti: ecco perché la Spagna cambia strada

Assuntina Morresi giovedì 26 dicembre 2013
Un’ingerenza intollerabile quella del ministro francese per i diritti delle donne, Vallaud-Belkacem, che ieri si è lanciata in dichiarazioni preoccupate per stroncare la proposta di legge del premier spagnolo Rajoy sulla regolamentazione dell’aborto in terra iberica. Sarebbe utile sapere se le «vive preoccupazioni» che la Vallaud-Belkacem ha addirittura messo per iscritto al suo collega spagnolo sono state espresse a nome del governo Hollande, di cui la Vallaud è portavoce, considerato che il loquace ministro ha dichiarato di essere altrettanto preoccupata per i diritti delle donne di altri Paesi europei, per esempio Irlanda e Polonia. E chissà che altre missive "turbate" e "scioccate" stiano viaggiando per queste destinazioni. Vorremmo allora tranquillizzare l’apprensivo esponente del governo di Parigi così come tutti coloro che, altrettanto impensieriti, in questi giorni anche in Italia (e persino tramite reti radiotelevisive pubbliche) hanno lanciato l’allarme sulla "marcia indietro" del governo spagnolo sui "diritti delle donne", paventando una legge che consenta l’aborto solo in rarissimi casi. Non è così, purtroppo. Innanzitutto, stiamo parlando di una proposta che deve ancora affrontare il parlamento, e questa bufera mediatica internazionale non aiuterà certo la serenità del dibattito. In secondo luogo, non si tratta di una sorpresa: Mariano Rajoy ha semplicemente mantenuto l’impegno preso in campagna elettorale di cambiare la nuova legge sull’aborto voluta da Zapatero. Una promessa che evidentemente ha incontrato il favore degli spagnoli, che lo hanno votato in maggioranza. Infine, l’eventuale approvazione di questa proposta non renderà illegale l’aborto ma, in buona sostanza, consentirà di tornare al quadro normativo spagnolo di quattro anni fa: l’aborto non come diritto ma reato, depenalizzato e regolamentato in alcuni casi previsti dalla legge. La medesima impostazione della norma italiana, quindi. E come da noi, purtroppo, questi casi non sono rari: in Spagna con la legge precedente, fra il 1997 e il 2007 il tasso di abortività è raddoppiato, e gli aborti sono costantemente aumentati anche negli anni successivi, dopo la modifica di Zapatero: dai 54mila del 1998 la Spagna è passata ai 118mila del 2011, e questo mentre, seguendo le classiche politiche di "prevenzione" della sinistra, aumentava negli stessi anni l’uso dei contraccettivi e delle varie "pillole del giorno dopo". Le modifiche volute da Zapatero – tutte nella direzione di riconoscere l’aborto come un diritto – avevano d’altra parte suscitato critiche e proteste fra gli spagnoli (molto contestata, per esempio, la possibilità data alle minorenni di abortire senza il consenso dei genitori) senza però suscitare "preoccupazioni" nell’opinione pubblica internazionale. Invece di stupirsi che un politico tenga fede agli impegni presi con i propri elettori, contrastando l’idea dell’aborto come diritto, pur consentendolo in molti casi, ci si dovrebbe preoccupare piuttosto del fatto che il numero degli aborti resti drammaticamente elevato in tutti i Paesi dove è stato legalizzato anche quando, evidentemente, non sono le condizioni di indigenza o di pericolo di vita delle donne a determinare quei numeri, né la mancanza di contraccettivi. È quello che accade per esempio proprio in Francia, dove il numero degli aborti è in aumento specie fra le minorenni, dove con la pillola abortiva Ru486 l’aborto a domicilio è sempre più diffuso, e dove la maggiore diffusione della contraccezione non è servita per prevenire. Anziché preoccuparsi di riconoscere l’aborto come un diritto, quindi, ci si dovrebbe chiedere perché anche in Paesi come la Francia certe strategie di prevenzione non hanno funzionato, sortendo anzi l’effetto opposto.