Opinioni

Campiscuola estivi, un'occasione di amore e di fede. Transumanza dell'annuncio fino alle sorgenti della gioia

Marco Pozza venerdì 24 agosto 2012
Come pastori capaci di fare transumanza. Perché d’estate non solo le greggi e gli armenti ma anche le parrocchie passano da un luogo all’altro, migrano dalla pianura verso la montagna o dalla collina verso il mare. In capo alla colonna preti giovani e meno giovani come esperti pastori chiamati a fiutare pascoli d’alta quota per rinvigorire le forze dei loro giovani greggi. Nella permanenza al campeggio riannodano la vecchia sfida dei profeti della Scrittura: mostrare che il cristianesimo è prima di tutto un annuncio che fa battere il cuore dell’uomo: solo dopo ne tratteggeranno il lato morale. Lo spiegano ai ragazzi dell’oratorio e a quelli della strada, spalancano le porte a quelli del muretto e tentano l’aggancio pure con le baby gang del quartiere. S’allenano a parlare di Cristo a chi è avvezzo al linguaggio della Chiesa e a chi di questo alfabeto è digiuno o neofito: impastata d’amore, nessuna parola è mai foresta nel cuore dell’umano. La responsabilità non fa loro paura, forti di quell’ingenuo rischio tipico di chi avverte che dietro ogni idea c’è un prezzo da mettere in conto. Forse proprio per questo all’accanimento dei luoghi comuni nei loro confronti rispondono con l’amabile dolcezza di chi scopre la bellezza di dare ciò che prima si è ricevuto. Perché il cristianesimo è la gioia di un incontro, la narrazione quotidiana di quel primo incontro a Genesaret: il Maestro vide un gruppo di persone abbarbicate alla loro terra, affezionati al loro lago, legati alle loro reti. Li tolse dal torpore e li raggiunse nella loro immaginazione, spalancandola: «Perché raschiare il lago tutta la vita?». In quello sguardo intravidero la chance di un futuro diverso, di un’Avventura dentro la quale mai sarebbero rimasti soli se avessero creduto a quell’interesse del Maestro che li chiamava. Nacque lì, sulle sponde di un lago evangelico, il primo camposcuola della storia: vivere assieme per condividere la bellezza capace di far esplodere quel campione nascosto dentro di loro. In ogni campeggio abita lo stesso sogno di quel giorno, rilanciato da chi di Cristo ha deciso di fidarsi fino a scommettere giorni, energie e giovinezza: che nessuna casa sia senza la festa del cuore. Pastori-educatori che sconfinano verso i confini del pascolo, per fiutare l’erba fresca: s’inventano nuovi linguaggi, allargano le loro conoscenze, s’arrischiano nuove avventure. Nulla per vanagloria, ma spinti da quell’insopportabile desiderio di riuscire a far intravedere il volto umano di un Dio che ride e gioca, che piange e ammaestra, che moltiplica e divide. Che si siede attorno al tavolo di Marta e Maria e ama raccontare e sentirsi raccontare la bellezza del quotidiano. Piace pensare che in tempi di crisi qualche prete, esperto in umanità, aggrappandosi alle pagine della Scrittura ammaestri i suoi giovani ad apprendere pure l’alfabeto della sconfitta. Tanti insegnano come si fa a vincere: dentro qualche camposcuola questi uomini di Dio s’azzardano pure ad insegnare a gestire una sconfitta. Forse per questo il mondo li taccia di "vecchiaia" o d’essere fuori moda: eppure la Scrittura è l’unica opera di letteratura scritta da un popolo che il mondo giudicò perdente. Crocifiggendo il suo romanziere. A settembre riaprirà l’oratorio e del campeggio rimarrà la nostalgia di attimi densi di spiritualità e di eterno. Con lo stupore di qualche genitore che, scrutando nel volto suo figlio, scoprirà forse un sorriso diverso: è quella che Gilbert Chesterton definiva la sorprendente gioia del cristianesimo. E che ancor oggi risuona nel cuore della giovinezza grazie al silenzioso operare di questi uomini straordinari che sono i nostri preti. Uomini che d’estate realizzano la transumanza più bella: quella che conduce alle sorgenti della Gioia.