Opinioni

Una medaglia che avrebbe e darebbe senso. Storia di Tonino Cangiano E di un segno che resta

Antonio Maria Mira martedì 8 ottobre 2013
Venticinque anni fa cominciava il calvario di Tonino Cangiano, vittima della camorra, piccolo-grande esempio di buona politica al servizio del bene comune. Malgrado la violenza, la gravissima invalidità fisica, l’isolamento. Una storia lontana, dimenticata e invece da ricordare soprattutto in tempi come i nostri nei quali la politica è solo vista come malaffare e interessi personali. Tonino viene eletto nel 1988, vicesindaco e assessore ai lavori pubblici del suo paese, Casapesenna, cuore del potere camorristico-imprenditoriale del clan dei "casalesi", il paese del boss Michele Zagaria arrestato proprio qui, il 7 dicembre 2011 dopo 16 anni di latitanza. Tonino dimostra subito la voglia di cambiare: stop al vecchio piano regolatore, stop ad alcuni appalti sospetti. Pulizia e trasparenza. Lì dove il clan, grazie alle proprie imprese, faceva ricchi affari. È la strada giusta. Per la camorra è da fermare. Così la sera del 4 ottobre 1988 il piombo dei killer blocca per sempre le sue gambe, ma non il suo spirito, l’impegno per cambiare la sua terra. Tonino è un invalido in carrozzella, paralizzato e poi addirittura amputato. Ma non molla, non la dà vinta a chi dalla politica vuole solo opacità e favori. Così, quando nel 1993 si torna a votare e nasce una lista civica, con l’impegno di tanti laici attivi nella Chiesa locale, lui – incoraggiato dal parroco Luigi – accetta di candidarsi a sindaco. Iscritto fin da ragazzo al Pci, ma fortemente credente, si lancia nella nuova impresa: invalido in carrozzella alla guida di un gruppo di giovani esponenti di forze politiche diverse. Spirito di servizio per il riscatto della sua terra. Un piccolo miracolo per paesi dove la politica ha dato e, purtroppo, continua a dare tanti esempi negativi. E invece Tonino e la sua "strana" lista vincono. Forse davvero si apre una nuova stagione. Ma anche la camorra non molla. E fa sul serio. L’anno dopo, il 19 marzo 1994, viene ucciso don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe, paese confinante con Casapesenna. A Tonino arriva un chiaro messaggio: «Se non te ne vai, metteremo in carrozzella anche i tuoi familiari». Sa che non sono minacce al vento. Lo sa sulla sua pelle. Vorrebbe tenere duro, ma pesa l’isolamento. Certo, a parole gli arriva la solidarietà di altri sindaci della zona, ma Roma è lontana, si disinteressa di questo piccolo paese, in realtà centro del potere della più potente cosca camorrista. Solo nel 2008, dopo le stragi del gruppo Setola, lo Stato si impegnerà con forza e continuità, ottenendo risultati e dando fiducia. Ma, in quel momento, Tonino e i "suoi" giovani sono soli. Così si dimettono, e finisce dopo appena due anni quella stagione di speranza. Tonino torna al suo lavoro di ingegnere, ma non dimentica il gruppo che ha creato. In carrozzella, continua a incontrarli, a incitarli, a seminare speranza. Proprio lui che non è riuscito neanche ad avere giustizia e verità, dopo l’assoluzione dei suoi killer. E quei giovani, ormai cresciuti, non lo dimenticano. Così alle elezioni del 2009 gli chiedono nuovamente di candidarsi. E lui, ormai bloccato su un lettino, dice nuovamente di sì. «C’è bisogno di persone che vogliono bene al proprio paese», spiega. Ma vince le vecchia politica, quella collusa. Sospetti confermati nel 2012, con lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione camorristica. Ma Tonino non fa in tempo a vedere questo epilogo. Il 23 ottobre 2009 il suo fisico, così provato, non resiste più. Dopo 21 anni il piombo camorrista raggiunge il suo scopo. «Ha amato la giustizia, l’ha cercata e ha pagato per lei», sono le parole del parroco al funerale. Troppo solo Tonino, una storia in fretta dimenticata. Invece va raccontata, per dire che anche nelle terre più difficili una politica pulita è possibile. Ma va sostenuta perché è sempre a rischio, come dimostrano le recenti dimissioni dei sindaci calabresi di Monasterace e Benestare dopo minacce e attentati. Ultimi esempi del lungo elenco di centinaia di azioni intimidatorie segnalate nel rapporto annuale di "Avviso pubblico". E allora proprio per non dimenticare, per ricordare con forza Tonino e la buona politica e per continuare a cercarla e a farla, in questo nostro Paese, si potrebbe considerare la possibilità di riconoscere la medaglia d’oro al valor civile ad Antonio Cangiano, sindaco pulito, uomo e cristiano generoso, senza gambe ma con la schiena dritta. Nel 2014, a cinque anni dalla morte, sarebbe un gesto forte, e non solo "in memoriam".