Opinioni

Il nodo. Spezziamo la solitudine della società civile russa

Raffaella Chiodo Karpinsky martedì 5 aprile 2022

Nei primi giorni della guerra c’è stata una reazione di piazza, da Mosca a Pietroburgo a Vladivostok. Una reazione poi colpita con 15mila arresti grazie alla legge che prevede pene fino a 15 anni per chi osa chiamare la guerra con il suo nome. Un «allucinante ritorno al passato più buio», lo chiamano così i miei amici russi: Cerco di raggiungerli più spesso possibile, di far loro sentire il mio sostegno, sin dal primo giorno di questo incubo.

Metà della mia identità appartiene a quella cultura ed è legata a quella rete di persone che nonostante tutto resiste. Categorie professionali, insegnanti, personalità della scienza, della cultura e dello sport si sono espressi condannando l’aggressione all’Ucraina. Media e giornalisti indipendenti, prima di tutto, che conoscono il sistema e hanno gli strumenti per fare controinformazione, attraverso gli unici canali di comunicazione non bloccati: Telegram, e per chi è dotato di VPN anche YouTube e Instagram, e grazie al rilancio di account privati.

È così che comunicano anche le mie amiche, le attiviste per i diritti umani e le donne che in questi anni si sono mobilitate contro la violenza domestica, o le tante che hanno parenti in Ucraina: Fino a quando la propaganda di regime riuscirà a offuscare le loro testimonianze? O quelle raccolte dall’Unione delle madri dei soldati, in cui si lavorano insieme don- ne russe, ucraine, bielorusse, diffondendo notizie sulla realtà di ciò che avviene al fronte? La speranza poggia tragicamente anche su questo: sui lutti che piomberanno nelle case di molte famiglie di soldati.

Centocinquanta milioni di abitanti in un Paese enorme e variegato, fatto di aree sterminate e miriade di cittadine e villaggi profondamente lontani in tutti i sensi, e un sistema di potere e controllo altrettanto grande. Eppure, è difficile credere che la maggioranza dei russi sogni di vivere in un 'mondo a parte', con la rinuncia alla libera frequentazione del resto del mondo, all’uso dei canali di comunicazione universali e non censurati. Ragazze e ragazzi, se possono, fuggono da un Paese in cui oggi non vedono un futuro: alcuni account offrono da settimane informazioni per espatriare e per trovare lavoro in diverse parti del pianeta. Non tutti, però, vogliono o possono abbandonare i propri cari o portarli con sé. E per chi resta, la repressione è durissima. Quaggiù ci si aspetta coerenza, da chi non è scappato e ora è stordito e soffocato.

Ma essi con i loro gesti espongono non solo se stessi, ma anche le persone care. Perdono il lavoro e la possibilità di sopravvivere. Sono messi alla gogna. Chi ha il coraggio di sfidare l’arresto e la tortura è un eroe, ma per fermare la guerra servono persone vive che grazie alla loro conoscenza possano essere il riferimento per un auspicabile futuro libero. Oggi la società civile russa è sotto choc. È in atto una catastrofe morale che segnerà generazioni di russi.

Affinché le persone rimaste lì abbiano il coraggio di resistere c’è bisogno del nostro sostegno e di rispetto per la loro dignità umana. C’è una responsabilità di istituzioni, forze politiche e società civile europee per aver sottovalutato l’importanza di costruire con la società civile in Russia relazioni di scambio e di sostegno. L’indignazione per l’assassinio di Anna Politkovskaja e la persecuzione di altri, che come Alexei Navalny, contrastano il regime, non è stata accompagnata da un adeguato investimento a supporto di chi in Russia denunciava e subiva la repressione. Chi lì lottava ha provato solitudine e isolamento e non solo in patria.

Oggi, gli esperti chiamati a commentare questa guerra, sono esperti di geopolitica e relazioni economiche e commerciali. Si ignora il ruolo della società civile e la sua complessità. È il frutto di questi trent’anni, quelli di Eltsin e di Putin, in cui si sono coltivati rapporti economici e commerciali in barba a qualunque forma di rispetto dei diritti umani. Affaristi hanno fatto fortuna avanti e indietro dall’universo della Russia.

Dalle realtà della società civile con cui sono in rapporto, ho percepito chiaro questo messaggio: la società civile è messa all’angolo dal regime e al tempo stesso considerata con poca fiducia dall’Occidente. Fanno capire che non saremmo a questo punto se in questi anni si fossero costruite più occasioni di dialogo e di scambio. Oggi è quasi impossibile, vista la caccia alle streghe staliniana in corso. Ma una sponda e un approdo si possono e devono costruire e offrire per salvare loro e pure noi stessi.