Opinioni

L’Italia abbia coraggio, per i siriani. Spezziamo l’embargo in Siria

Giorgio Paolucci lunedì 18 gennaio 2016
«Aleppo sta morendo di sete. Aiutateci!». È il grido di dolore lanciato in un drammatica testimonianza pubblicata da questo giornale alla vigilia di Natale da padre Ibrahim Asabagh, il francescano della Custodia di Terra Santa, giovane parroco della parrocchia latina di san Francesco, a servizio della comunità assieme ad altri quattro frati nella città di Aleppo. Insieme ai suoi confratelli e a un pugno di volontari, cristiani e musulmani, da mesi si prodiga per aiutare come può gli abitanti della sua zona, costretti a fare i conti con le conseguenze devastanti del taglio delle forniture idriche deciso dalle milizie jihadiste che si sono impadronite dell’acquedotto e condizionano l’erogazione dell’acqua alla liberazione di un gruppo di "combattenti" prigionieri dall’esercito siriano. Per rendere più agevole la distribuzione dell’acqua messa a disposizione dai pozzi della parrocchia, Ibrahim ha acquistato alcuni serbatoi, ma tutto questo non basta per rispondere al bisogno sempre più pressante e drammatico della popolazione. Molti lettori in questi giorni hanno scritto per chiedere come aiutare. Uno per tutti: il sindaco di Pieve di Cadore (Belluno), Maria Antonia Ciotti, che vorrebbe lanciare una sottoscrizione per inviare a padre Ibrahim denaro utile ad acquistare serbatoi d’acqua. Operazione benemerita ma complicata, perché a causa dell’embargo decretato quattro anni fa dall’Unione Europea nei confronti della Siria e più volte riconfermato, è impossibile inviare denaro in maniera diretta tramite bonifico bancario.Nonostante le difficoltà, la Custodia di Terra Santa è in grado di raccogliere aiuti e realizzare progetti grazie al supporto della Associazione pro Terra Sancta che opera al fianco dei frati in tutto il Medio Oriente e riesce a fare arrivare aiuti finanziari tempestivamente attraverso canali regolari, ma stretti. È insomma difficile, spesso impossibile, dare corso a "normali" operazioni di solidarietà, in ragione delle sanzioni introdotte nel 2011 con l’intenzione di indebolire il regime di Assad e che hanno solo sortito l’effetto di peggiorare drammaticamente le condizioni di vita del popolo siriano.Lo scrivevano a chiare lettere, nel luglio del 2015, le suore trappiste che vivono nel governatorato siriano di Homs, vicino al confine con il Libano, in un forte e coraggioso appello: «Queste misure non colpiscono affatto chi è al potere. Le sanzioni colpiscono la gente, e in modo durissimo... Niente materie prime per lavorare, niente medicinali, anche per le malattie gravi. Tutto carissimo, i prezzi degli alimenti sono arrivati a dieci volte tanto (...). Senza lavoro, in un Paese in guerra, dilagano la violenza, la delinquenza, il contrabbando, la corruzione, la speculazione, l’insicurezza. Questi, sono i frutti delle sanzioni (...). È possibile pensare di usare anni di sofferenza della gente per ottenere un risultato politico, mascherandolo poi come il bene vero della gente stessa? No, non è proprio possibile. E se non sappiamo trovare altri strumenti, allora siamo veramente indegni di chiamarci Paesi democratici». Oggi non è possibile far entrare legalmente in Siria carburante, olio da riscaldamento, impianti per la raffinazione del petrolio e per la produzione di gas liquido necessario alla produzione di energia elettrica. E la carenza di benzina ed energia elettrica paralizza di fatto l’agricoltura, l’industria, l’artigianato. La storia recente – dall’Iraq a Cuba – insegna che le sanzioni affamano, piagano e umiliano i popoli e non indeboliscono in maniera decisiva i governanti.Di fronte a una situazione così tragica e paradossale, sarebbe importante se il Governo e il Parlamento italiano, senza più aspettare una decisione in sede europea, considerassero l’idea di abolire unilateralmente le sanzioni che stanno affamando quel che resta di un popolo di profughi e di vittime di una guerra senza quartiere. Sì, sarebbe molto importante se l’Italia decidesse di "rompere il fronte" con un gesto esemplare di realismo e di solidarietà capace di mettere l’Europa davanti alla responsabilità politica e morale di "sanzionare" una iniziativa umanitaria oppure, finalmente, di capovolgere il proprio sguardo e il proprio atteggiamento al cospetto di una tragedia che alcune potenze occidentali hanno cinicamente contribuito a scatenare.