Opinioni

«Sono un ragazzo fortunato: a casa siamo in 30». Fare la pace a 11 anni

Marco Tarquinio sabato 21 maggio 2022

Gentile direttore,
mi chiamo Matteo, ho 11 anni e da quando ne avevo tre vivo all’estero con mamma e papà che hanno dato vita a una Casa famiglia. Mi ritengo uno dei ragazzi più fortunati al mondo, perché questa “avventura” mi ha aiutato a capire quanto duro può essere il mondo e mi ha reso più gentile nei confronti delle persone a cui serve aiuto. In tanti mi chiedono perché sono venuto in Grecia.

Il motivo è che i miei genitori, prima di avere figli, sono entrati in un’associazione italiana che opera anche nelle missioni. Don Oreste Benzi, il fondatore di questa associazione, l’ha creata anni fa per aiutare i poveri del mondo. I miei genitori li accolgono. Tutti quelli che vengono a vivere con noi si portano dietro una storia. A volte mamma e papà non ci lasciano ascoltare perché potrebbe essere troppo dura. Io però ascolto spesso di nascosto. Alcuni vengono dall’Afghanistan, altri hanno passato cose molto spaventose e brutte, vorrei dirle ma è meglio di no perché sono troppo personali. Questo mi ha aiutato a capire la cattiveria del mondo, ma anche l’amore che ha da offrire. Molti mi chiedono quanti siamo in casa. Dovremmo essere in cinque (con i genitori), ma siamo in trenta, tra Casa famiglia e famiglie accolte.

Come ho già detto mi sento davvero uno dei ragazzi più fortunati al mondo, perché è bellissimo, fantastico, straordinario sentire lingue straniere, vedere persone distrutte passare del tempo bello e abbracciare persone che davvero ne hanno bisogno. In tanti prendono in giro le persone con cui vivo, ma questo certamente è solo perché non le conoscono bene. Io che le conosco bene posso dire che amano, vivono, mangiano, dormono e hanno la voglia di esplorare il mondo come noi, perché proprio come noi sono umani.


Matteo

Sì, sei un ragazzo davvero fortunato, caro Matteo. Conosco la storia, la scelta di vita cristiana e l’impegno umano di tua mamma e di tuo papà. E sono certo che la bellissima lettera che mi hai fatto avere possa parlare a tanti, perché con quel che scrivi aiuti a vedere l’«albero dalla parte dei frutti». I frutti che sempre sono i figli e, comunque, coloro che noi adulti, tornando a mettere alla prova noi stessi, accompagniamo nella continua (e mai definitiva) conquista della maturità, che è comprensione del proprio posto nel mondo, in relazione con le altre vite e – per chi crede in Dio – con l’Autore della vita.
C’è chi pensa che sia una cosa da sognatori "fare la pace" come hanno scelto di farla i tuoi genitori, crescendo te e i tuoi fratelli nell’esperienza di una fraternità più grande ma non indistinta (perché gli altri fratelli e le altre sorelle che accogliete e con cui condividete tutto hanno nomi, volti, storie, culture d’origine, fedi, ferite e speranze che li rendono speciali e unici pur essendo in tutto e per tutto simili a voi e a noi tutti). Se tu e i tuoi sognate, Matteo, lo fate a occhi aperti e a braccia aperte, con concretezza e solida gentilezza. E questi sono i sogni che cambiano la realtà perché la riempiono di un’umanità che è consapevole del male e della sfida che esso rappresenta eppure resta semplicemente orientata al bene. Un bene che si vede, che si sente, che si tocca e che ti tocca, che non esclude niente e nessuno, tranne che ogni forma di cancellazione dell’altro. Qualcuno (Mt 5,38-48) ce l’ha spiegato una volta per tutte che rispondere al male col il bene è il "metodo" della rivoluzione di cui possiamo e dobbiamo essere capaci. Chi continua a ripetere che l’abolizione della guerra – cioè della risposta dura, irata, violenta, armata alla durezza, all’ira, alla violenza, all’offesa armata – sia una forma di resa al male, sbaglia. E finisce, anche con le migliori intenzioni, per ripetere l’errore che ha inzeppato di dolore tutta la storia. È così che il male vince anche quando sembra sconfitto, perché ci fa assomigliare terribilmente a sé. Se invece sappiamo resistere a questa tentazione e prendiamo la parte delle vittime con decisione, senza riserve e senza paure, facciamo la pace e non permettiamo che si allarghi un deserto d’odio, di sospetto, di lutti e di macerie.
Grazie, caro Matteo. Ti auguro ancora tanta di questa "fortuna" che ti fa felice e ti sta facendo grande. Stai imparando l’arte dell’incontro, cioè ad ascoltare con rispetto e ad abbracciare la tua vita e quella degli altri. Tu, ascolta sempre mamma e papà e abbracciali da parte mia e nostra.