Opinioni

La "Dichiarazione" di condanna e il massimo oggi possibile. Siria, il massacro quotidiano Assad prepotente, Onu impotente

Vittorio E. Parsi venerdì 5 agosto 2011
Esisteva, ai tempi dell’Unione Sovietica la "solidarietà internazionalista", tante volte abbiamo sentito evocare negli ultimi vent’anni quella tra le democrazie e ancora più abusata è stata la solidarietà araba. Ma tra dittatori l’amicizia e l’appoggio fraterno hanno sempre avuto un corso molto limitato e, soprattutto, una validità che veniva immediatamente meno nei confronti di chi avesse avuto la sventura di cadere in disgrazia. Così non ci ha pensato su due volte, il presidente siriano Bachar el Assad, quando ha contato un po’ ingenuamente sul fatto che l’avvio del processo a Mubarak avrebbe distratto i media dal massacro che le forze armate siriane vanno compiendo per tutto il Paese. Proprio mentre le sue truppe stavano sottoponendo la città di Hama a un durissimo bombardamento, l’Onu pare essersi svegliata e aver adottato una "Dichiarazione" in cui si condannano "la violazione generalizzata dei diritti dell’uomo e l’uso della forza contro i civili da parte delle autorità siriane", ammonendo che "i responsabili delle violenze dovranno rispondere del loro operato".È forse questa la parte più dura della Dichiarazione (cioè qualcosa di meno di una Risoluzione) che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (CdS) ha con estrema fatica adottato mercoledì scorso, la prima da quando in Siria hanno avuto inizio le proteste tanto sanguinosamente represse dal regime. In altri fondamentali passaggi, la Dichiarazione invita tutte le parti cessare le violenze e ad evitare ogni rappresaglia anche nei confronti delle istituzioni statali (leggasi i funzionari del Baath e gli appartenenti alle forze di sicurezza) e chiarisce che la ricerca della via di uscita ovrà essere politica e tutta interna alla Siria (ovvero esclude che essa possa preludere a una Risoluzione che autorizzi un intervento militare). "La montagna ha partorito il topolino", si potrebbe dire, visto gli oltre 1600 civili ammazzati (cui si aggiungono quasi 400 tra militari e poliziotti) in questi pochi mesi. Ma era impossibile andare realisticamente oltre, considerata l’opposizione ferrea di Cina e Russia (ma anche di Paesi come l’India) a un’ingerenza "eccessiva" negli affari interni di uno Stato sovrano. Comunque un passo che va nella direzione chiesta dagli insorti.Le Nazioni Unite, una volta di più, si ritrovano ostaggio delle logiche dei "grandi". Quelli tradizionali (i cinque membri permanenti del CdS) e quelli nuovi, come l’India appunto. Per questi e per molti altri Paesi, la protezione dei diritti umani invocata a gran voce dagli occidentali, cozza con la più gelosa tutela della propria indipendenza, spesso riconquistata a durissimo prezzo proprio contro le potenze coloniali occidentali. L’Occidente peraltro non si sta mostrando eccessivamente proclive a mettere più pressione al regime di Assad, nei cui confronti le sanzioni fin qui adottate dalla Ue o dagli Usa sono estremamente blande e, quel che è peggio, "inasprite" con la cautela e la lentezza tipiche dei bradipi. Come abbiamo ricordato tante volte anche in passato, la vera carta che Assad ha in mano è la consapevolezza del ruolo regionale giocato dalla Siria, all’interno del mondo arabo e nel conflitto con Israele.Tutti temono, in particolare, le conseguenze che un tracollo della Siria, per non parlare di un suo possibile frazionamento, potrebbe avere per gli equilibri del Medio Oriente. Di questi timori si è fatto interprete il governo del piccolo e tormentato Libano (oggi espressione di una coalizione guidata da Heabollah), che non arrivando a bloccare l’adozione della Dichiarazione del CdS (che richiede un’approvazione all’unanimità) si è però dissociato immediatamente dopo. Nel frattempo Assad ha deciso di porre fine, per decreto, al monopolio quasi cinquantennale del partito Baath. Forse nel suo delirio di onnipotenza il dittatore si crede un novello Harry Potter, capace di mutare la realtà con un colpo della sua bacchetta magica. O forse, la sua era solo una "inaccettabile provocazione", come con il forbito linguaggio diplomatico il ministro degli Esteri francese Alain Juppé, ha dovuto rassegnarsi a chiamare quella che, a tutti gli effetti, è una "presa per i fondelli".Ne vedremo ancora e non delle belle. Basta che tutti questi minuetti non ci distraggano dal fatto che in Siria alcuni uccidono senza scrupoli e altri muoiono senza colpa, ogni giorno, ormai da mesi.