Opinioni

editoriale. Sinodale: così è la Chiesa frutto maturo del Concilio

Stefania Falasca giovedì 20 febbraio 2014
«Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi». È quanto dissero gli apostoli e i responsabili della Chiesa di Gerusalemme chiudendo il primo Concilio della storia della Chiesa. «Noi». Così da sempre si prendono le decisioni nella Chiesa. In quel «noi» è espressa la dinamica imprescindibile dell’esercizio dell’autorità, della direzione, del governo voluta da Cristo. La collegialità, o meglio, la sinodalità, rimanda quindi alla natura apostolica propria della Chiesa. E solamente nella cornice di questa natura si comprende il senso e la prospettiva della riforma generale avviata da Francesco. E non si può che leggere in questa prospettiva anche il Concistoro che si apre oggi a Roma, il primo per la creazione di nuovi cardinali presieduto da Papa Francesco, a quasi un anno dalla sua elezione. Fino a sabato cardinali di tutto il mondo offriranno al Papa i loro suggerimenti, come già hanno fatto per tre giorni – sino a ieri – quanti di loro fanno parte del Consiglio di cardinali creato dal Pontefice e appena convocato per la terza volta. Con un chirografo, il 29 settembre dello scorso anno, Francesco aveva istituito il gruppo composto dagli otto porporati i cui nomi erano stati resi noti già all’inizio del suo pontificato. Il documento stabiliva formalmente l’aiuto al Papa del Consiglio «nel governo della Chiesa» e nel progetto di revisione della Costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia romana. Veniva infatti sottolineato che tale istituzione – configurabile a suo modo come un corpo sinodale – voleva essere un’ulteriore espressione della comunione episcopale e di ausilio al munus petrinum, al governo del Successore di Pietro. Si ricordava inoltre che la creazione di tale organismo era frutto dei suggerimenti emersi già nelle Congregazioni generali prima dell’ultimo Conclave. «Le parole chiave per pensare a questo metodo di governo che il Papa sta configurando – spiegava nel darne l’annuncio padre Lombardi – credo che siano la sinodalità, l’idea del camminare insieme: una Chiesa che cammina insieme nelle sue diverse componenti, e il Papa è in cammino con questa Chiesa; il discernimento, che è la ricerca della volontà di Dio attraverso una consultazione frequente e paziente». Il termine "sinodalità", che amplifica quello di Sinodo, (combinazione di due parole greche syn, con, insieme, e odòs, strada, cammino) significa infatti proprio questo: un cammino da compiere insieme. Il Concilio Vaticano II aveva unito questa immagine a quella del popolo di Dio: la Chiesa è un popolo che cammina insieme nella storia, per essere segno del regno di Dio offerto a tutta l’umanità. È questo dunque il cammino tracciato da Francesco. Anche nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, assimilando gli stimoli pastorali delle varie Chiese locali del mondo, dimostra come l’esercizio della collegialità sia già in atto. E dia i suoi frutti anche sotto il profilo ecumenico. Con «i fratelli ortodossi» i quali hanno da sempre maggiore esperienza di questo esercizio e «dai quali – afferma Francesco – i cattolici hanno possibilità di apprendere di più circa il significato della collegialità episcopale e sull’esperienza della sinodalità». Francesco ha riportato dunque all’attualità un tema che sembrava essere rimasto inevaso dal Concilio. Il tratto della dottrina della collegialità dei vescovi approvata dai padri conciliari riconosce chiaramente che la Chiesa non è un super-Stato né parlamentare né monarchico, non è quindi una monarchia, né una democrazia, come taluni spesso cercano di far credere per abbassare le prerogative del Papa, «ma una compagine di comunità liturgiche, la cui unità consiste nell’unità essenziale della liturgia e della fede in essa attestata». E così anche ogni assemblea liturgica è un sinodo, ogni riunione di consiglio pastorale. Come evidenziava lo stesso Francesco nel corso della visita nella parrocchia romana di San Tommaso Apostolo sottolineando il ruolo dei consigli pastorali: «Il parroco ha l’aiuto dei consigli. Decide, certamente, perché lui ha il potere di decidere; ma decide sentendo, si fa consigliare, sente, dialoga». Questo è il compito dei membri del consiglio, ma ha avvertito «questa non è democrazia! È chiaro: perché noi finiremmo al contrario, no?, è un po’ l’anarchia, no? No, no, non è democrazia, il consiglio pastorale». Nelle parrocchie dove manca il consiglio pastorale «vanno fino a qui, e poi si fermano lì, e finiscono in questo atteggiamento clericale che non aiuta nessuno». Gli uffici ecclesiastici compreso quello episcopale sono ministeri di presidenza e di predicazione al servizio dell’intimo dinamismo sacramentale operante nella Chiesa. «Nella tradizione ecclesiastica – sottolineava Ratzinger – il presidente di una comunità liturgica si chiama "vescovo". La Chiesa composta di comunità liturgiche è di conseguenza costituita da un’unione di vescovi, tra i quali uno, il successore di Pietro, svolge il servizio di tenere uniti. Un servizio che rientra nell’essenza della Chiesa». Un servizio, quindi, che non deve essere un governo monarchico, ma neppure oligarchico. E in questo senso anche il Consiglio degli otto cardinali non può essere assolutizzato, non può trasformarsi in oligarchia. «Gli otto cardinali – spiega il teologo argentino Fernandez – non possono nemmeno pensare di riunirsi e di rappresentare tutte le linee di pensiero e tutte le preoccupazioni presenti in seno alla Chiesa». È ancora una volta la sinodalità quella che esprime meglio l’obiettivo, perché implica la presenza di meccanismi attraverso i quali tutta la Chiesa può sentirsi rappresentata e ascoltata.«Presuppone – aggiunge il teologo – di fornire maggiore autonomia alle Chiese locali e farle dialogare tra loro affinché costruiscano quel "poliedro" che il Papa ha in mente». Tutto questo comunque per Papa Francesco non può essere mai il frutto di un’ingegneria istituzionale, ma significa essere docili davanti all’operare di Colui che è «artefice al medesimo tempo della pluralità e dell’unità, lo Spirito Santo». Solo così si condivide la stessa esperienza che gli apostoli vissero al loro primo Concilio.