Opinioni

Nell'ultimo libro di Benedetto XVI una domanda cruciale. Siamo liberi di Dio. E mai sopraffatti

Carlo Cardia venerdì 6 maggio 2011
Nel libro Gesù di Nazaret Benedetto XVI formula un interrogativo cruciale, che si sono posti filosofi e teologi di tutti i tempi, e che affiora nella coscienza di ciascuno di noi. Perché la conoscenza di Dio, della sua volontà, non è immediata, di evidenza indiscutibile? La domanda nasce dalla risurrezione di Gesù, dalle parole di Giuda Matteo: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv 14,22), perché, prosegue il Papa, «non hai con vigore inconfutabile dimostrato loro che tu sei il Vivente, il Signore della vita e della morte? Perché ti sei mostrato solo a un piccolo gruppo di discepoli della cui testimonianza noi dobbiamo ora fidarci?». La domanda, aggiunge, «riguarda l’intero modo in cui Dio si rivela al mondo».La risposta del Papa è semplice: «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di 'vedere'». La spiegazione conclusiva è più forte: «Non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore». Si tratta di una risposta che approfondisce il rapporto dell’uomo con Dio, ed evoca in qualche modo il filosofo tedesco Karl Jaspers per il quale se la trascendenza si presentasse in tutta la sua grandezza all’uomo lo schiaccerebbe, lo costringerebbe ad adeguarsi alla sua volontà. In questo modo, non saremmo protagonisti attivi della nostra salvezza, ma soggetti passivi, senza volontà veramente autonoma. Con l’azione sommessa nell’interiorità personale, Dio delinea la libertà come carattere essenziale del cammino dell’umanità verso il bene. Forzato dalla presenza abbagliante del divino, l’uomo sarebbe coartato all’obbedienza. Spinto dalla coscienza e dall’accettazione di Gesù egli può scegliere il bene, ma anche il male realizzandolo a proprio danno.La presenza di Dio si manifesta con lo stupore per la vita, e la più elementare psicologia ce ne offre prove tutti i giorni.La ragione e la coscienza danno gli impulsi primordiali a chi viene al mondo con le immagini della bellezza e della varietà, con il sentimento dell’amore, gli fanno dono della curiosità che è la finestra della conoscenza. In quel fluire della vita di cui parla Henry Berson, la coscienza si evolve facendo intravedere il male, il dolore, i limiti che non possiamo superare, proponendo le domande sul bene e il male, sulle scelte che siamo chiamati a compiere: sembra quasi che l’essere umano si trovi tante volte nelle condizioni di Adamo ed Eva, a dover optare tra le cose buone e quelle cattive che la vita ci mette davanti di continuo. Infine, la piena conoscenza di sé, con il desiderio del proprio futuro, provoca le domande decisive che riempiono il pensiero filosofico e religioso, sulle grandi scelte etiche, il significato della vita, l’aspirazione al compimento pieno oltre l’esperienza terrena. In questo sviluppo della mente e del cuore, Dio parla sempre in modo sommesso, si propone alla coscienza, pone dei semi, offre scenari tra cui scegliere. Insomma, Dio si fa sentire mille e mille volte, ma sempre lasciando libero l’uomo di ascoltarlo o non ascoltarlo. L’avvento di Gesù costituisce l’intervento decisivo di Dio nella storia perché, sempre con dolcezza e senza potenza esteriore, egli offre l’incontro personale con l’uomo, indica i princìpi etici che superano i secoli e le contingenze, i valori spirituali che danno senso allo scorrere della vita, alla gioia, alla finitezza temporale che svanisce con la prospettiva della risurrezione.Nell’orizzonte della libertà cristiana, all’uomo è data un’altra possibilità, quella di ricredersi, di cambiare strada, pentirsi, perché agli occhi di Dio nulla è irreversibile, il male non è irreparabile, solo la sua misericordia è infinita. La parola sommessa di Gesù può trasformare l’uomo, perché egli è il Dio della responsabilità, non della rassegnazione, della scelte per il bene non del grigio fatalismo, della vita eterna non della ineluttabilità della morte che produce solo una mestizia senza prospettive. Per queste ragioni la libertà è essenziale, ma non appaga, essa si realizza appieno quando raggiunge la fede che costituisce il vero compimento dell’uomo.