Opinioni

Dignità del lavoro. Così si torna a cercare il senso del fare

Francesco Riccardi mercoledì 30 marzo 2022

La coincidenza temporale è casuale, ma assieme il segno che alcuni semi di un pensiero nuovo stanno maturando, così come spuntano le gemme in questo inizio di primavera. Parliamo della contemporanea diffusione, ieri, del Messaggio dei vescovi italiani per il Primo Maggio e la firma di un documento fortemente innovativo quale lo «Statuto della persona», elaborato assieme da Enel e sindacati di settore: Filctem-Cgil, Flaei-Cisl e Uiltec-Uil. La consonanza con il documento della Cei per la Festa del lavoro – intitolato 'La vera ricchezza sono le persone' – è immediata.

E si riflette poi nelle medesime preoccupazioni sulle fragilità del mondo del lavoro. I vescovi sottolineano in particolare la tragedia dei troppi infortuni mortali per la scarsa sicurezza e la persistente precarietà in particolare di donne e giovani, i «nuovi poveri». Il messaggio dei vescovi – che assume il meglio della Dottrina sociale della Chiesa per come si è sviluppata negli ultimi due secoli – ricorda come il lavoro oggi sia troppo spesso caratterizzato dallo sfruttamento o comunque lontano dall’essere «libero, creativo, partecipativo e solidale» come invece dovrebbe.

E tuttavia, richiamando la necessaria complementarietà tra lavoro e capitale, indica in una nuova «cultura della cura» della persona la rotta ideale su cui costruire il cambiamento, non solo auspicabile ma soprattutto possibile. Tutela, investimento sulla persona e partecipazione che sono proprio i capisaldi dello «Statuto» firmato da Enel e sindacati. Un documento impegnativo – di fatto una nuova Costituzione per il colosso pubblico dell’energia – che pone al primo posto il dipendente e più in generale la persona, chi opera ai margini del perimetro del gruppo e pure chi si trova completamente all’esterno, ma ne gode i benefici o ne subisce le conseguenze negative. Ripensando del tutto – proprio a partire dalla persona – la scala dei valori che deve guidare l’azienda, indirizzare i suoi obiettivi, informare i comportamenti.

E quindi – per citare alcuni dei tanti impegni – assicurare tutte le tutele ai lavoratori dell’intera filiera, compresi quelli delle aziende in subappalto. Favorire una «formazione circolare e continua», la crescita e valorizzazione dei dipendenti, la conciliazione dei tempi di lavoro, l’«integrità, salute, sicurezza e benessere della persona come il bene più prezioso da tutelare ». Puntando sulla partecipazione di tutti i soggetti coinvolti per «riprogettare un futuro del lavoro sfidante e sostenibile». Ma, al di là dei singoli aspetti, a colpire è l’impostazione culturale del nuovo Statuto Enel. Che mira in particolare a recuperare il 'senso' del fare e dell’'eco-sistema' che si intende contribuire a costruire. Attraverso «una relazione gentile, di cura e responsabile, tra le parti che compongono il sistema io-noi-comunitàambiente, in quanto protagonisti alla pari di un contesto universale il cui bene è per tutti». In cui il lavoro, sempre in stretto rapporto con gli altri e la comunità più ampia, viene riconosciuto «parte costitutiva della nostra personalità morale e spirituale».

Gli impegni che la società energetica e i sindacati si assumono in questo documento – in cui non compaiono mai le parole 'profitto' o 'utile', evidentemente secondarie rispetto al 'senso' del fare – sono tanto onerosi quanto necessari. Danno la misura di una sfida alta che le parti vogliono affrontare, consapevoli che l’alternativa è continuare a perseguire un modello di sviluppo e di relazioni sociali che rischia di negare la dignità del lavoro e delle persone, come purtroppo avviene troppo spesso oggi. Per l’Enel e i sindacati non sarà per nulla facile rimanere sempre coerenti con quello «Statuto della persona», così come non è affatto scontato essere conseguenti nei comportamenti ai valori inscritti nella nostra Costituzione.

Ma l’atto che le parti sociali hanno compiuto ieri è, almeno sul piano teorico, quanto di meglio si sia visto dai tempi di Adriano Olivetti, ormai 60 anni fa. Un passo verso quel «nuovo umanesimo del lavoro» che papa Francesco e i vescovi non si stancano di indicare come traguardo di dignità e di salvezza per tutti.