Opinioni

Una conferenza. Magari a Roma. Si pensi già il dopoguerra

Agostino Giovagnoli sabato 21 maggio 2022

Il cessate il fuoco tra Ucraina e Russia è la priorità. Ma intanto occorre cominciare a pensare il dopoguerra, cioè una pace che stabilizzi la fine dei combattimenti e impedisca nuove esplosioni belliche. Potrebbe sembrare secondario o superfluo, di fronte all’urgenza di fermare la macchina che miete tante vittime e provoca sofferenze e distruzioni. Ma non è un caso se prima il cardinale Parolin, poi il presidente Mattarella e ora anche il premier Draghi hanno parlato di una «nuova Helsinki», ovvero di una Conferenza internazionale sul modello della Conferenza per la pace e la sicurezza in Europa che si è svolta a Helsinki nel 1975.

È anche il punto conclusivo del piano di pace appena presentato dall’Italia all’Onu, incentrato su un nuovo accordo multilaterale per la pace e la sicurezza in Europa. In realtà, infatti, le diplomazie hanno cominciato da tempo a interrogarsi in modo riservato su una Conferenza di questo tipo, nella consapevolezza che un accordo fra le due parti – sebbene fondamentale – non risolverà tutti i problemi aperti dalla guerra fra Russia e Ucraina. Tale guerra, infatti, ha avuto effetti destabilizzanti in molteplici direzioni e nel mondo intero, dalle ripercussioni in campo energetico a fenomeni di de-globalizzazione, dalla riduzione del grano per l’Africa all’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia.

Non è incongruo pensare la pace mentre ancora si combatte. Stati Uniti e Urss hanno cominciato a progettare l’organizzazione di un nuovo ordine internazionale post-bellico già nei primi anni della Seconda guerra mondiale. Ed è anche per questo se dopo il 1945 è prevalsa per molti decenni una relativa stabilità mondiale e c’è stata pace in Europa e in altre aree del mondo, malgrado la lacerazione gravissima prodotta dalla guerra fredda. La guerra inghiotte la politica, imponendo un pensiero unico: l’unica cosa che conta sembra essere la forza delle armi.

La pace, si pensa, rifletterà lo scontro sul campo, il vincitore imporrà le sue condizioni. Ma, intanto, non è chiaro come stia andando veramente lo scontro in atto né, tantomeno, come finirà. Inoltre, qualunque ne sarà l’esito, la storia mostra che i tavoli della pace sono sempre dominati da dinamiche molto complesse, che possono aggravare le conseguenze dei conflitti, come è accaduto dopo la Prima guerra mondiale, quando gli errori compiuti con gli accordi stabiliti a Versailles, a Sèvres e altrove hanno posto le premesse di una nuova guerra mondiale nel giro di pochi anni.

La Conferenza di Helsinki è stata un’altra cosa. È arrivata dopo che per ben trent’anni era mancato un vero trattato di pace in Europa e a più di vent’anni dai primi tentativi di convocarla. E ha sciolto nodi che sembravano insolubili. La Seconda guerra mondiale aveva imposto, con la forza delle armi, nuovi confini tutt’altro che giusti – si pensi solo a quelli polacco-tedeschi o russo-polacchi – ma Helsinki ha stabilito il principio che i confini non si toccano più, bilanciandolo con la costruzione di nuove forme di cooperazione che relativizzano il peso determinante delle sovranità e rendano sempre più 'inutili' le guerre.

A Helsinki, tra l’altro, nel 1975 sono state poste le fondamenta dell’Osce, una delle poche organizzazioni a livello europeo di cui ancora la Russia faccia parte. Riaffermare che la Russia è un Paese non solo geograficamente ma anche politicamente europeo è oggi fondamentale: solo così questa guerra non segnerà l’inizio di un divorzio tra Russia ed Europa, che contraddirebbe secoli di storia e aprirebbe a un’instabilità senza fine.

Ecco perché è importante ripartire da lì. Ma, naturalmente, una nuova Conferenza per la pace in Europa non potrà essere una ripetizione di Helsinki 1975. La situazione è troppo diversa. Segnalo solo due elementi di novità. In primo luogo, non si potrà tenere nella capitale della Finlandia perché questa, chiedendo di entrare nella Nato, ha abbandonato la sua neutralità. (Perché – faccio un’ipotesi – non tenerla a Roma, in linea con un impegno più forte dell’Italia per la pace e in sintonia con la voce di papa Francesco contro la guerra?). L’altra novità riguarderà i partecipanti.

A Helsinki, nel 1975, ci furono anche Stati Uniti e Canada, due Paesi non europei ma essenziali per garantire la sicurezza in Europa. Oggi questa sicurezza sarebbe ulteriormente rafforzata dalla partecipazione di altri Paesi, in primo luogo la Cina. A qualcuno tale partecipazione non piacerà e altri porranno la condizione di un impegno per far cessare il conflitto più forte di quello dispiegato finora da Pechino. Ma tale partecipazione sarebbe importante per fare della fine del conflitto tra Russia e Ucraina il primo passo per un nuovo ordine multilaterale a livello globale.